Ardian Ndreca recensisce “Ateismo e modernità”

Nel n. 1 (2020) della rivista “Urbaniana University Journal”, alle pp. 207-210 è apparsa una recensione al mio volume “Ateismo e modernità. Il dibattito nel pensiero cattolico italo-francese”(Jaca Book, Milano 2019) a firma di Ardian Ndreca (nella foto).

Nato a Scutari nel 1969, Ndreca è docente di Storia di Filosofia Moderna presso la Pontificia Università Urbaniana, dove dirige l’Istituto per lo Studio dell’Ateismo (I.S.A.), inoltre, dal 2016, è editore della rivista «Shejzat – Le Pleiadi», fondata nel 1957 da Ernest Koliqi a Roma. Tra le sue opere ricordiamo: Mediazione o paradosso? Kierkegaard contra Hegel (2000); La soggettività nella filosofia di S. Kierkegaard (2005); Lessico di filosofia della storia (2012), La filosofia dello spazio urbano (2020)

Ecco il testo della recensione.

 

MASSIMO BORGHESI
Ateismo e modernità.
Il dibattito nel pensiero cattolico italo-francese
Jaca Book, Milano 2019, 249 pp.

 

Il pregevole volume di Massimo Borghesi, Ateismo e modernità. Il dibattito nel pensiero cattolico italo-francese (Jaca Book 2019), raccoglie scritti già pubblicati in precedenza che tracciano linee di fuga che convergono e rispondono ad un unico interrogativo: qual è il senso filosofico della modernità? Il suo principale ma non unico obiettivo è quello di rintracciare all’interno del pensiero cattolico italiano e transalpino del Novecento le ragioni della nascita dell’ateismo moderno. Fin da subito emerge l’interesse dell’Autore per un confronto aperto con le diverse interpretazioni, talvolta contrastanti tra loro, che innervano il pensiero di un ampio ventaglio di filosofi del secolo passato, a cominciare da Maritain, Gilson, De Lubac, Del Noce, Fabro.

Muoversi nel solco di un dibattito mai assopito all’interno del quale si sono ormai consolidate delle interpretazioni “ufficiali” che mirano a spiegare la nascita dell’ateismo moderno, non ha scoraggiato Borghesi nel suo tentativo di sondare altre vie che aspirano a superare le consuete sintesi storiografiche che vedono in Descartes il padre putativo dell’ateismo moderno. Le “autorappresentazioni” storiografiche che l’Ottocento ha dato della nascita della modernità e della frattura con un Medioevo che aveva Dio al centro del mondo, non sono più credibili dell’uso ideologico che ne ha fatto un secolo dopo la filosofia marxista. La domanda cui si cerca di rispondere è: perché la modernità porta con sé la negazione di Dio!? Nell’indicare le condizioni di nascita dell’ateismo moderno Borghesi riesamina le prospettive di Fabro e di Del Noce, il primo teso a dedurre la fondazione dell’ateismo moderno da una radice razionale immanentistica, il secondo portato a considerarla come una scelta di vita, una volontà prometeica che nell’accettare la condizione umana rifiuta il bisogno di redenzione. La profonda frattura che si verifica all’interno del mondo cristiano con l’avvento della Riforma e le successive guerre di religione che si protraggono fino alla Pace di Westfalia (1648), costituiscono l’atto di nascita della modernità. Borghesi scorge in questa nascita lo spessore tragico di un’epoca che vede tramontare la fede in Dio proprio perché in suo nome i cristiani calpestavano gli ideali della respublica christiana.

La fede non tornerà più a ricomporre la frattura epocale e una nuova sintesi sarà tentata attraverso la proiezione degli ideali di una volta nella realtà statale ove l’elemento unificante è la politica, l’unica a permettere il passaggio dal sistema dei privilegi a quello dei diritti. L’autosufficienza del nuovo sistema esclude la religione mentre conferisce all’etica, all’ordinamento politico e alla stessa società borghese un’autonomia basata sull’esercizio della ragione. Questa “seconda modernità” pone le basi per una nuova visione del mondo ove Dio non è più necessariamente il fondamento ed anche quando lo è, nelle varie declinazioni deistiche del ‘700, avrà soltanto la portata di un principio morale razionale. Anche l’ateo, osserva Pierre Bayle, può essere un buon cittadino. In questo recupero obbligatorio dello sfondo storico, il tentativo di riprendere la dimensione filosofico-politica dell’umanesimo cristiano di un Erasmo da Rotterdam appare un elegante esercizio di erudizione che non avrà alcun esito. I conflitti politico-religiosi che hanno accompagnato la nascita della modernità possono essere superati soltanto all’interno della nuova realtà dello stato di diritto che va affermandosi.

Le cause dell’ateismo moderno, afferma Borghesi, risiedono «non in un processo teoretico autonomo ma nel contesto tragico, suscitato dallo scandalo di cristiani in guerra che si combattono tra di loro a motivo della fede» (p. 24). Alla tesi della derivazione dell’ateismo moderno dalla valenza immanentistica del cogito cartesiano Borghesi contrappone quella dello sfondo storico delle guerre fratricide che avevano dilaniato l’Europa dalla Pace di Augusta a quella di Westfalia. Si tratta di poco più di un secolo in cui tutte le chiese avevano fallito nella loro missione e questo fallimento era ben visibile agli occhi di tutti. Tuttavia, l’ateismo rimarrà ancora per molto un atteggiamento molto elitario. Bisognerà aspettare ancora per vedere nell’ateo non più lo stolto pericoloso ma uno che pretende di vivere secondo la ragione. Probabilmente sia il contesto storico della Riforma protestante sia l’immanentismo, che soltanto per consequentiam è riconducibile al pensiero cartesiano, portano, prima ad una religione naturale e poi all’ateismo.

Le guerre tra i cristiani della stessa confessione, molto più scandalose di quelle tra le confessioni diverse, si sono succedute per tutto il Medioevo senza però suscitare un vero e proprio ateismo perché al di là dei movimenti di disgregazione si poteva cogliere nella concretezza della connessione produttiva (Wirkung-Zusammenhang), come la chiama Dilthey, l’elemento interiore e spirituale che guidava la trama della storia. La ragione non era sovrana nei confronti della fede e soprattutto non esistevano ancora le nazioni, per cui il significato politico della vita non veniva proiettato al di là della comprensione religiosa del mondo.

Borghesi ricostruisce lo sfondo storico in cui maturano le due letture del razionalismo cartesiano fatte da Cornelio Fabro e Augusto Del Noce. Il primo è continuamente teso ad unificare il pensiero moderno sotto l’orizzonte immanentistico, mentre il secondo è aperto a precisazioni che portano a vedere aperture significative che provengono sia dall’ontologismo sia dall’ateismo pessimistico. Là dove Fabro vede l’incoerenza di autori che non riescono a condurre una deduzione rigorosa a partire dal principio dell’immanenza che porta al deismo o alla negazione di Dio, Del Noce scorge la debolezza “costruttiva” di un sistema che si mostra carente e mette così nuovamente in gioco la libertà e la ricerca di un fondamento ulteriore. Scartata l’«opzione ateistica», Fabro individua nell’esistenzialismo cristiano un alleato prezioso contro il razionalismo nonché un correttivo nei confronti di un tomismo poco interessato ai temi di autocoscienza e libertà, intesa come “soggettività costitutiva trascendentale”. L’ambito esistenziale costituisce così per Fabro la chiave di lettura delle problematiche irrisolte dal pensiero classico e da quello moderno.

La lettura delnociana della modernità secondo Borghesi riconosce la centralità del problema cristologico che da Pascal giunge fino a noi, superando i ragionamenti metafisici che si dimostrano insufficienti di fronte al rifiuto di Dio. Tale rifiuto viene inteso non come conseguenza dell’immanentizzazione del cogito cartesiano, ma come opzione fondamentale di vita. L’ateismo viene ricondotto alla naturalizzazione integrale della vita mortale e al rifiuto della redenzione (p. 107). Il pensiero filosofico moderno trascurando la figura del Cristo redentore ha accettato lo status della natura umana come un dato normale al quale ha contrapposto, almeno sul versante cartesiano, la forza della ragione. Sembra essere caduti nella posizione molinista di natura ove il sovrannaturale viene considerato come qualcosa di esterno e di “spurio”. In questo modo la metafisica razionalista assume, attraverso la soprannaturalizzazione razionale, un carattere mistico-religioso, cosa che si nota facilmente a cominciare dalle Meditazioni filosofiche di Cartesio fino all’ultimo libro dell’Etica di Spinoza.

Nell’ottico delnociana, secondo Borghesi, l’antifilosofia di Pascal assume il ruolo di correttivo tanto nei confronti di Cartesio quanto nei confronti del cristianesimo metafisico di Malebranche. Al massimo la filosofia ci può portare al “Dio filosofico”; ed ecco la preziosa lezione di Pascal: bisogna cercare quel Dio al quale la ragione non è in grado di portarci.

Di fronte all’opzione ateistica ha più peso l’argomento della scommessa che la metafisica delle prove (cf. la prova a priori dell’esistenza di Dio nella quinta Meditazione cartesiana), come si evince dalla «trascrizione pienamente razionale di una prova che S. Anselmo aveva situato all’interno della teologia» (p. 119).

Il dialogo di Borghesi con il pensiero cattolico italo-francese comprende anche l’opera di Étienne Gilson, in particolar modo Les metamorphoses de la cité de Dieu (1952).

In quest’opera, frutto delle dieci conferenze tenute all’Università di Lovanio per inaugurare la nuova cattedra “Cardinal Mercier”, il filosofo francese rifletteva sulla secolarizzazione dell’idea di “civitas Dei” e tratteggiava la via filosofica verso una società in cui l’intelligenza della fede ispiri universalmente i valori di pace e di prosperità tra i popoli. Secondo Gilson, le metamorfosi della città di Dio si concludono con il sistema comtiano, al quale, sostiene lui, il marxismo non aggiunge nulla di significativo sul piano filosofico. Rifiutando l’idea di un Occidente “cristiano per essenza”, egli critica l’ultima metamorfosi, ovvero la proiezione dell’ideale agostiniano in una civitas secolare, svilita a causa dell’esclusione della fede. Non lasciandosi condizionare dai fallimenti del passato, Gilson intravede l’affermazione dell’Europa nel suo significato concreto, geografico-politico, come una società temporale e non come una “chiesa temporale, creatrice e depositaria della verità universale”.

L’atteggiamento realista di Gilson nei confronti dell’Europa postbellica, come si evidenzia dalle pagine dense di Borghesi, oscilla dalla possibilità di essere un «mero aggregato politico guidato da riconoscibili motivi d’interesse […] oppure divenire il punto di sintesi e di unità tra popoli diversi» (p. 171).

A più di mezzo secolo di distanza, notiamo che l’Europa non è riuscita a raggiungere pienamente neppure l’obiettivo minimalista prospettato dal filosofo francese, da qui l’attualità del suo pensiero e dei continui richiami alla patristica e al medioevo cristiano.

 

Ardian Ndreca

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