«Francesco», la recensione di Massimo Faggioli su Il Regno-attualità

Pubblico con piacere la bella recensione che Massimo Faggioli (nella foto) ha scritto sul mio libro Francesco. La Chiesa tra ideologia teocon e «ospedale da campo» per «Il Regno-attualità». Trovate qui un’essenziale bio-bibliografia di Faggioli: tra le varie opere, sottolineo solamente l’ultima tradotta in italiano, Joe Biden e il cattolicesimo negli Stati Uniti.

Il Regno – attualità 12 (2021), p. 378, Recensione di M. Borghesi, FRANCESCO. La Chiesa tra ideologia teocon e «ospedale da campo», Jaca Book, Milano 2021, pp. 272, € 20,00 (Massimo Faggioli) 

Dopo l’importante volume Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale. Dialettica e mistica (Jaca Book, 2017; cf. Regno-att. 6,2018,159), che rimane a oggi la più completa biografia intellettuale di papa Francesco, il nuovo libro di Massimo Borghesi contribuisce a comprendere il ruolo del pontificato attuale tra le diverse anime del cattolicesimo in Occidente.

Nel capitolo 1°, intitolato «La caduta del comunismo e l’egemonia dell’americanismo cattolico», Borghesi traccia un quadro delle deviazioni di tipo ideologico nella Chiesa cattolica a partire dagli anni Ottanta. L’obbiettivo polemico del libro è un tipo ben preciso di cattolicesimo negli Stati Uniti: borghese nei costumi e liberista in economia. L’autore analizza il movimento dei teoconservatori a partire dai suoi protagonisti: Michael Novak (intellettuale con un passato a sinistra negli anni Sessanta), George Weigel (biografo e amico intimo di Giovanni Paolo II) e Richard John Neuhaus (pastore luterano convertitosi al cattolicesimo a fine anni Ottanta dopo l’incontro con il papa polacco, fondatore nel 1990 della rivista First Things, tuttora organo della destra religiosa negli Stati Uniti).

Borghesi ricostruisce minuziosamente il loro tentativo (in parte riuscito) d’impadronirsi del pontificato di Giovanni Paolo II prima, e di quello di Benedetto XVI poi: un tentativo che li proiettò ai vertici dell’intellighenzia cattolica americana, e che ancora vede Weigel in quella posizione all’interno dell’establishment cattolico negli USA. Borghesi descrive efficacemente questa corrente che «a partire dagli anni Novanta, diverrà egemone nel mondo cattolico statunitense, al punto da definire i due pilastri di una nuova Weltanschauung: piena conciliazione tra cattolicesimo e capitalismo e cultural wars sul terreno etico. Sorge il cattocapitalismo, nuova forma dell’americanismo cattolico, dominato dall’esigenza di una piena compenetrazione tra la fede e l’ethos americano. L’orientamento politico viene a condizionare quello religioso» (22).

Quella di Borghesi non è una critica da sinistra, ma da quella cultura cattolica che rifiuta tanto il progressismo quanto il tradizionalismo – si veda la ripresa della critica di Rémi Brague al «cristianismo» made in USA.

Il libro non è tenero verso il pontificato di Giovanni Paolo II: «Un grande disegno (…) ma, nei fatti, la Chiesa, dalla fine degli anni Ottanta, mostra di chiudersi in se stessa e di disinteressarsi tanto della missione quanto del bene comune sociale e politico» (46).

Ancora meno tenero con i cattolici liberisti e americanisti di casa nostra, sul piano intellettuale accademico (Flavio Felice), politico (Marcello Pera), ed ecclesiale (il cardinale Camillo Ruini da presidente della CEI).

Rende giustizia alla storia di quegli anni il riportare alla memoria da parte di Borghesi l’avallo del cardinale Ratzinger verso l’allora presidente del Senato, Pera; un giudizio duro sul «progetto culturale» della CEI di Ruini e sul tentativo dei primi anni Duemila d’impiantare teo-liberismo in Italia, in una «subalternità ideologica alla destra liberal-capitalistica» (123).

L’eredità di Giovanni Paolo II emerge in modo problematico, tanto che Borghesi avanza l’ipotesi che il pontificato del papa polacco sia stato, più che un’epoca di cambiamento epocale, invece «una parentesi» (113) – in modo simile a quanto Andrea Riccardi ammette nel suo ultimo libro, La Chiesa brucia. Crisi e futuro del cristianesimo (Laterza, Roma – Bari 2021).

Nel 2° capitolo, «Il pontificato di Francesco nella crisi della globalizzazione», Borghesi analizza il contributo di papa Bergoglio nell’affrontare «l’introversione ecclesiale (…) una patologia grave, l’eredità che il papa si trova al momento del suo insediamento» (136). Francesco interpreta il cattolicesimo fuori dalla dialettica ideologica tipica tra progressisti e reazionari, si pone al di là dei blocchi ideologico-politici destra contro sinistra.

Borghesi aiuta ad analizzare l’attacco di Francesco contro la forma ideologica del cristianesimo borghese-americano e la risposta proveniente dagli USA: «L’ideologia neocon, l’“americanismo cattolico”, costituisce un blocco ideologico che impedisce di riconoscere la forma “cattolica” del magistero di Francesco» (143). Qui Borghesi ricostruisce il quadro degli intellettuali liberisti e americanisti di casa nostra fortemente critici col pontificato di Francesco: ancora Pera, ma anche Ernesto Galli della Loggia, lo storico Loris Zanatta, e il banchiere Ettore Gotti Tedeschi. La galassia anti-Bergoglio trova però il suo centro primigenio negli Stati Uniti e nel dominio della dottrina anarco-capitalistica negli ambienti cattolici che contano (come Samuel Gregg, think tank Acton Institute).

Nel capitolo 3°, «Chiesa in uscita e “ospedale da campo”: il volto missionario della fede», Borghesi mette a fuoco il legame tra missione e il concetto di periferia, «un punto nevralgico del pontificato di Francesco, un punto che lo porta molto lontano dalla prospettiva centralistica e occidentalistica dei neocon» (217). Qui diventa evidente la distanza di Francesco dalla cultura neo-conservatrice anche sul ruolo di Paolo VI, il papa di Evangelii nuntiandi, come anche di Populorum progressio. Importante, per capire la tensione tra questo pontificato e l’anima religiosa conservatrice nordamericana, la parte su misericordia, pathos e dimensione affettiva nella visione di Chiesa e di cristianesimo in Francesco.

Nella Conclusione, «La crisi del teopopulismo, l’America, il futuro della Chiesa», Borghesi ipotizza la crisi dell’onda neo-conservatrice, rivelatasi nel suo estremismo con l’abbraccio al progetto trumpiano dal 2015 in poi. Se dal punto di vista intellettuale e teologico non si può non essere d’accordo, dal punto di vista sociale e politico la questione appare ancora aperta specialmente negli Stati Uniti del secondo presidente cattolico, Joe Biden, alle prese con quella cultura antiprogressista (ma libertaria in economia) espressa da alcuni dei più importanti esponenti dell’episcopato statunitense.

Borghesi è l’anima storico-filosofica dell’inner circle formatosi attorno a Francesco (si veda la dedica) e questo è un libro di difesa del pontificato senza mezzi termini. È un libro importante anche come contributo alla storicizzazione del pontificato perché parte, nell’Introduzione, come risposta a una serie di analisi, apparse a partire dal 2020, sulla stasi di Francesco tra il periodo successivo al Sinodo per l’Amazzonia e l’emergenza COVID. Borghesi non fa una storia del pontificato, ma una genealogia dei suoi nemici storici sull’asse Roma-Washington.

Il libro interpreta Francesco come compimento della profezia di Romano Guardini (su cui Borghesi ha pubblicato molti studi; cf. Regno-att. 6,2020,160), del «risorgimento cattolico latinoamericano» di Methol Ferrè e del cattolicesimo sociale che legge, alla luce dell’esperienza latinoamericana, la crisi del capitalismo globale a guida nordamericana. Un punto notevole del libro è la critica, rispettosa ma indubbia, ai due predecessori di Francesco per aver creato le condizioni per un certo sviluppo del «cristianismo» in USA negli ultimi 40 anni: la parabola dall’ideologia neo-conservatrice degli anni OttantaNovanta fino al neo-tradizionalismo attuale, come si vede dalla sovrapposizione tra rigetto di Francesco e del Vaticano II. Uno dei meriti storici del pontificato è quello di aver fatto emergere il vuoto nominalismo conciliare del cattolicesimo «America first», liberista e neoconservatore.

Massimo Faggioli

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