Vi propongo questa intervista che ho rilasciato a Enrico Lenzi di Avvenire dopo il discorso di papa Francesco ai membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede (nella foto), tenuto lo scorso 10 gennaio.
Avvenire, martedì 11 gennaio, p. 5, Il pericolo delle «censure culturali» (Enrico Lenzi)
L’ultimo clamoroso esempio in ordine di tempo «è stata la direttiva che un commissario europeo voleva diramare per cancellare gli auguri di Buon Natale sostituendoli con un più neutro “buone feste”, invocando il rispetto nei confronti delle altre religiosi. Ecco proprio qui sta il perseguire l’idea di un pensiero unico che elimina, neutralizza, le differenze, ma che in realtà le radicalizza». Il professore Massimo Borghesi, ordinario di Filosofia morale all’Università agli studi di Perugia condivide in pieno il passaggio che il Papa ha voluto riservare ai rischi del pensiero unico che Francesco definisce «una forma di colonizzazione ideologica, che non lascia spazio alla libertà di espressione e che oggi assume sempre più la forma di quella cancel culture, che invade tanti ambiti e istituzioni pubbliche».
Eppure, professore, molti indicano nella tolleranza il motivo di un tale atteggiamento.
Ci sono due concezioni di tolleranza. La prima – che è quella che indica il Papa – è il rispetto delle differenze, il dialogo tra loro, il sapersi accogliere. La seconda è invece soltanto la neutralizzazione delle differenze, che poi però nel concreto rimangono.
Questa spinta al pensiero neutro da cosa scaturisce?
È una eredità del pensiero filosofico del 1968 francese. L’idea di un pensiero egemone. E poi è cresciuta nel tempo anche con la teoria del gender, dove questa neutralizzazione viene spinta anche tra il maschile e il femminile.
Ma questa neutralizzazione che finalità intende concretamente raggiungere?
Si tratta di una finalità fortemente ideologica e idealistica, che non include o supera le differenze. Le cancella da un punto di vista ideologico, ma nel concreto le differenze restano.
Esiste consapevolezza di questi rischi?
Penso che molti di coloro che propugnano la tolleranza come neutralizzazione delle differenze lo facciano in buona fede. Il linguaggio appare inclusivo, ma non affronta i problemi, non crea incontro. Al contrario il Papa è molto chiaro nel ribadire che la tolleranza non è l’azzeramento, bensì dialogo, confronto, incontro in cui ciascuno non perde la propria identità. Papa Francesco usa spesso due immagini per spiegare la differenza: lui predilige il poliedro, una figura sfaccettata, unità ma che non cancella le singole parti. Poi c’è la sfera, che cancella le differenze.
Oggi siamo nel tempo della sfera?
Verrebbe da rispondere di sì. Certo a partire dalla globalizzazione economica si è cercato di livellare le situazioni, in sistemi economici, le tradizioni locali. Ma la reazione a questo livellamento sono le forme di intolleranza sia “progressiste” sia “reazionarie”, come ad esempio i sovranismi.
Forme che esaltano l’identità nazionale, ma poi a loro volta tendono a promuovere un pensiero unico. Un controsenso?
Stiamo parlando di forme di intolleranza e come tali difficilmente in grado di dialogare. Soprattutto di saper far dialogare l’universale con il particolare, che è quanto il Papa chiede significativamente agli organismi internazionali attraverso il Corpo diplomatico presso la Santa Sede. L’unità deve essere raggiunta nel rispetto delle differenze, non nella loro eliminazione. E questo in tutti i campi.
Lei è autore di una «Biografia intellettuale di Jorge Mario Bergoglio» edito da Jaca Book nel 2017. A chi si ispira papa Francesco su questo tema contro il pensiero unico e neutrale?
Sicuramente agli studi su Romano Guardini e alla sua antropologia dialettica in cui si parla di una tensione verso l’universale, ma che non taglia le proprie radici. Occorre trovare un giusto equilibrio, non pensando di avere ricette pronte, ma capaci di intraprendere un cammino, perché la fede si nutre di sfide, di domande. Papa Francesco ci indica proprio questo.