L’intervista su Paolo VI per la Fundación Pablo VI di Madrid (versione italiana)

Ecco la versione italiana dell’intervista in spagnolo che ho pubblicato in un altro post curata da Sandra Várez González, Directora de Comunicación presso la Fundación Pablo VI di Madrid. A tema il grande pontificato di Paolo VI, nella foto con il patriarca ortodosso Atenagora.

Non è sconosciuta, perché non è nemmeno nascosta, l’ammirazione di papa Francesco per Paolo VI, che in più occasioni ha definito “il grande Paolo VI”. Quali somiglianze puoi trovare tra i due? Si può dire che Francesco sta continuando l’opera di Paolo VI nella Chiesa?

Paolo VI è stato canonizzato in San Pietro da Bergoglio il 14 ottobre 2018. Bergoglio canonizzando Montini non ha voluto semplicemente delineare l’immagine del suo successore, quanto proporre la figura del suo ispiratore. Come osserva Austen Ivereigh, «Per Francesco, come per tutta la sua generazione, la “grande luce” è stata Paolo VI». Paolo VI rappresenta, per il Pontefice argentino, il Papa del Concilio e di Evangelii nuntiandi, l’Esortazione apostolica sull’evangelizzazione nel mondo contemporaneo del 1975. Si tratta del documento pontificio forse più apprezzato, quello in cui lo spirito missionario del Vaticano II, riproposto da Francesco in Evangelii gaudium, trova la sua sintesi perfetta. Paolo vi è un modello per Francesco proprio perché il suo ideale ecclesiale corrisponde a quell’idea della sinfonia degli opposti che costituisce il filo rosso del pensiero bergogliano. Perché, giova chiedersi, Evangelii nuntiandi riveste tanta importanza per papa Francesco? Per intenderne la portata occorre comprendere il significato che l’Esortazione apostolica assume, agli occhi di Bergoglio, allorché viene pubblicata nel 1975. È il tempo in cui il più giovane Provinciale dei gesuiti argentini si trova a guidare la Compagnia in un momento storico tragico in cui la Chiesa tendeva a spezzarsi nelle due ali estreme: quella della sinistra filorivoluzionaria e quella della destra rappresentata dal volto cruento della dittatura militare. Il provinciale Bergoglio doveva tenere uniti i gesuiti attratti dalle sirene della teologia della liberazione filomarxista o respinti, per la paura, nelle braccia degli uomini in divisa. Donde il valore liberante di Evangelii nuntiandi con la sua idea della Chiesa come coincidentia oppositorum, come sintesi superiore, oltre le teologie politiche progressiste o reazionarie. Evangelii nuntiandi si poneva oltre l’antitesi dialettica tra fede e impegno sociale che divideva, a destra come a sinistra, la coscienza “infelice” cattolica degli anni ‘70

San Paolo VI è stato un Papa sociale, dialogante, ecumenico, moderno…, come lo chiamava in Spagna il cardinale Fernando Sebastián. Forse troppo moderno per essere compreso dagli uomini del suo tempo. È questo che sta succedendo oggi a papa Francesco? Perché questa reazione da parte di coloro che nel tuo libro definisci i teocon?

La reazione contro papa Francesco proviene da due fronti. Da un lato abbiamo i conservatori e i tradizionalisti i quali credono che il Papa sia un pericoloso progressista che trasforma la dottrina e la tradizione della Chiesa, l’ultimo frutto del Concilio Vaticano II. Gli anticonciliari trovano in Francesco il capro espiatorio di tutti i problema della Chiesa. Costoro non comprendono che Bergoglio non è un “progressista”, è un Papa missionario che chiede di aprirsi al mondo per testimoniare la novità cristiana. L’altra parte dei critici è caratterizzata dagli “occidentalisti”, dai teoconservatori di derivazione americana per i quali il cristianesimo si identifica con i valori dell’Occidente. Costoro diffidano di un Papa latinoamericano che reputano essere un seguace della teología della liberazione, un pericoloso peronista. Non capiscono, o non vogliono capire, che il Papa sta semplicemente riabilitando la dottrina sociale della Chiesa, trascurata e dimenticata negli anni della globalizzazione e dell’esaltazione di un capitalismo senza freni. Una dottrina sociale che essi non amano.

Montini ha chiarito l’orientamento di quella che sarebbe stata la Nuova Evangelizzazione, quando ha proclamato con forza: “La Chiesa esiste per evangelizzare”. Durante la presentazione del tuo libro alla Fundación Pablo VI, hai parlato del fatto che in questo momento si vive più nella battaglia culturale che nell’avvicinarsi all’altro. La Chiesa sta perdendo il senso della sua vera missione? Perché questa ossessione per una specie di battaglia?

Le cultural wars, cioè le battaglie etiche contro l’aborto e il matrimonio gay, hanno sostituito in tanta parte del cattolicesimo americano ed europeo, il dialogo e la testimonianza verso il mondo secolarizzato. La missio ad gentes si è persa per strada a favore della concentrazione su due/tre valori affermati nella lotta della pubblica piazza. La difesa di questi valori è corretta ma essa non può sostituirsi, da parte della Chiesa, alla evangelizzazione dei popoli. Viviamo in un mondo secolarizzato nel quale i simboli e le verità della dottrina cristiana sono ormai ignoti, sconosciuti. La Chiesa non può indugiare nel sogno di una cristianità perduta, deve fondarsi sull’incontro cristiano e sulla testimonianza. Come 2000 anni fa. Come ha detto il Papa in occasioni diverse: la cristianità è finita, occorre prenderne atto. È la stessa visione di Montini testimoniata già da arcivescovo di Milano nella sua lettera pastorale del 1957 Sul senso religioso. È il motivo per cui Francesco, in Evangelii gaudium, chiede di anteporre il messaggio cristiano rispetto allá dottrina morale. L’annuncio cristiano viene prima dei valori che presuppongono la fede.

Come Francesco, Paolo VI parlava di uscire verso le periferie sociali ed esistenziali. Cosa pensi che siano queste periferie oggi? C’è paura di essere presenti oggi in quelle periferie?

Per la nozione di “periferia” Bergoglio è debitore verso la pensatrice argentina Amalia Podetti. Una Chiesa che si volge verso le periferie, materiali ed esistenziali, è una Chiesa “decentrata”. Al contrario una Chiesa che si preoccupa di essere al “centro” rischia di nascondere la presenza di Cristo. Non è più la luna che riflette la luce del sole. La Chiesa degli ultimi anni corre il rischio di essere troppo concentrata su di sé. Non missionaria, né “ospedale da campo”. È una Chiesa preoccupata di sopravvivere, di occupare spazi residui, di offrire carriere ecclesiastiche e vocazioni protette. Al contrario le periferie espongono all’incontro con realtà ignote, con quel mondo che nulla sa di Gesù Cristo. Ci vuole fede e coraggio per affrontare quel mondo, i giovani di oggi, i luoghi del degrado sociale e dell’abbandono, quelli del dolore e della sofferenza.

Nel tuo libro Francesco. La Chiesa tra ideologia teocon e “ospedale da campo” colleghi Evangelii Gaudium con Evangelii Nuntiandi Quale strada hanno aperto nella Chiesa le due Encicliche?

Come accennavo prima Evangelii gaudium, pubblicata nel 1975, univa evangelizzazione e promozione umana. Univa quello che, nel clima di allora monopolizzato dal marxismo, risultava diviso. La fede riguardava la coscienza personale mentre la promozione sociale veniva dettata dal metodo marxista. Paolo VI richiamava l’unità indissolubile tra la fede e l’impegno sociale che dalla fede nasceva. Oggi, in un contesto ideale molto diverso, papa Francesco richiama anche lui la medesima relazione tra fede e promozione umana. La richiede in un orizzonte mutato rispetto agli anni ‘70. Allora la passione era tutta per la costruzione sociale e la fede veniva avvertita come un residuo archeologico. Oggi la fede viene sentita come un rifugio psicologico mentre l’impegno político appare estraneo, lontano. Il messaggio “cattolico” di Francesco è il medesimo di Paolo VI ma i due poli della relazione hanno assunto un peso differente per il cambiamento dello spirito del tempo.

La Populorum progressio è una delle Encicliche di Paolo VI più criticate e ancora oggi sono molti, forse di quell’ambito dei theocons, che la rifiutano per il suo tema e i suoi approcci. Perché?

La Populorum progressio è ritenuta, da sempre, come una Enciclica troppo spostata a sinistra. Per i teocon cattolici americani, e tra essi George Weigel in prima fila, si tratta di un documento inaccettabile. I teoconservatori sono contro l’aborto ma, al tempo stesso, sono esponenti di un neocapitalismo liberal che rifiuta ogni correzione del mercato da parte dello Stato. Rifiutano la nozione di “bene comune” centrale nella dottrina sociale della Chiesa.

Paolo VI ha insistito sul fatto che l’evangelizzazione non può essere separata dal lavoro per la promozione umana, e lo hanno accusato di essere quasi dalla parte del marxismo. Papa Francesco intende la Chiesa come un ospedale da campo e quindi le attribuisce un pensiero comunista. Cosa si fa di sbagliato perché i cristiani non capiscano che una cosa non può stare senza l’altra e viceversa?

Siamo di fronte ad una grave lacuna del pensiero cattolico il quale negli anni ’70 ha subito l’egemonia marxista mentre a partire dagli anni ’80 ha subito l’onda conservatrice che proviene dagli Stati Uniti di Ronald Reagan e dalla Gran Bretagna di Margaret Thatcher. Il pensiero cattolico è per sua natura “polare”, tiene uniti i due capi della catena. In questo caso la persona e la comunità, la libertà e la giustizia. Oggi, invece, è manicheo. Segue l’individualismo económico e rifiuta ogni idea di solidarietà. In questo manicheismo si consuma la crisi del pensiero cattolico.

La Chiesa è, per certi aspetti, più politica che missionaria?

La Chiesa deve essere in primo luogo missionaria, deve annunciare a tutto il mondo la novità di Cristo, morto e risorto. Deve comunicare l’umanità nuova di Cristo mediante una testimonianza, autentica e credibile. La política è parte di questa testimonianza. È l’impegno attivo per la pace, la giustizia e il bene del mondo. In questo senso, come diceva Paolo VI: «La política è la forma più alta della carità».

La vita del giovane Montini è stata molto segnata dalla lotta al fascismo in Italia. Suo padre fu tra i deputati che seguirono De Gasperi nell’ultimo tentativo di fermare Mussolini sulla via della dittatura, fino a quando finì per sciogliere il partito popolare italiano. Quali somiglianze vedi tra quel tempo e oggi?

Non vedo fascismi e totalitarismi all’orizzonte nell’Occidente attuale. I totalitarismi rispondono a crisi gravissime come quelle che risultavano dopo la fine della prima guerra mondiale. Noi veniamo dopo 70 anni di pace. Pace garantita dall’Europa uñita. Quello che preoccupa è il vuoto ideale nel quale la política viene fácilmente manipolata, guidata da reazioni momentanee, emotive, non razionali. Il venir meno dei partiti, la crisi della scuola, il disimpegno della Chiesa, tutto concorre a dissolvere la memoria storica. I giovani non hanno memoria storica. In questo vuoto prevale il manicheismo e si impongono le forze della dissoluzione. L’attuale guerra in Ucraina ci sta riportando allo scontro frontale tra Est d Ovest. Il mondo sta diventando molto pericoloso e il grido del Papa sulla necessità della pace non trova nello stesso mondo cattolico il sostegno necesario.

Come ha vissuto il Pontefice il processo elettorale in Italia? Può prevedere come saranno i rapporti con Giorgia Meloni?

Da Giovanni Paolo II in avanti i Papi non seguono più, in Italia, la política interna. Presumo che Giorgia Meloni, se riuscirà a formare un governo stabile, sia interessata ad avere buone relazioni con il Vaticano. Vedremo.

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