Non c’è “terza via” tra resistenza o resa? Dibattito con De Marco sul blog di Magister

Sandro Magister sul suo blog ha ospitato la risposta di Pietro De Marco (nella foto) alle mie critiche pubblicate su Vita.it e una mia replica. Riprendo integralmente il suo post.

 

L’Espresso – Settimo cielo, venerdì 8 aprile, Non c’è “terza via” tra resistenza o resa. Borghesi critica De Marco, che risponde (Sandro Magister)

 

(s.m.) Le posizioni espresse da Pietro De Marco sulla guerra in Ucraina, nel suo ultimo intervento su Settimo Cielo, hanno sollevato le critiche di Massimo Borghesi, su “Vita” del 4 aprile:

> I cattolici e la guerra. Silenziare il papa?

A giudizio di Borghesi, in De Marco come in altri intellettuali cattolici “l’entusiasmo per la pace ha ceduto il posto all’entusiasmo per la guerra”, quando invece l’Occidente non dovrebbe “alimentare il fuoco ma sedarlo, e questo nell’interesse stesso dell’Ucraina”, tenendo “aperto un canale con la Russia” e valutando “fino a che punto la resistenza militare all’invasore dovrà essere portata avanti”.

Per questo è fuori luogo, secondo Borghesi, anche la recente riedizione del libro di Emmanuel Mounier “I cristiani e la pace”. E ciò perché “il Mounier del 1939, che diffidava di Monaco e invitava a resistere con la forza allo strapotere di Hitler in Europa, non può essere invocato come l’interprete della situazione attuale. Soprattutto non può essere invocato come l’espressione autentica del realismo cristiano contro l’utopismo pacifista di papa Francesco”.

Borghesi è professore di filosofia morale all’Università di Perugia e ha dedicato i suoi due ultimi libri allo scavo delle ascendenze teologiche e filosofiche di Jorge Mario Bergoglio, al fine di sostenere – pur contraddetto dai fatti, come messo in luce da Settimo Cielo – che anche il discepolo sia all’altezza dei suoi celebrati maestri, da Gaston Fessard a Romano Guardini, da Erich Przywara a Henri De Lubac.

Questa qui sotto è la replica di De Marco alle critiche di Borghesi. Con a seguire una successiva lettera di Borghesi a De Marco.

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Caro Massimo,

la mia risposta è nel pezzo che ti allego, che avevo già scritto, ma che ho un po’ aggiornato per tararlo meglio sulle tue obiezioni, e di molti altri. Mi pare, non per spirito di conciliazione, che non siamo in contrasto troppo grave; concordiamo su molto. Sono le priorità che divergono e certo, nella congiuntura, con conseguente operative divaricanti (se dipendessero da noi le mosse militari o diplomatiche). Però sul teatro ucraino e internazionale si procede in parallelo, sia cercando il compromesso per la pace, sia evitando che questo sia ingiustamente e durevolmente punitivo, come ogni resa anche a condizione, per l’Ucraina e per l’Europa. Per i popoli slavi ex Patto di Varsavia o ex URSS il controllo russo è visceralmente odioso. Appena più tollerabili alcune vie di mezzo (ad esempio l’ungherese, dove comunque le elezioni sono avvenute sotto lo spavento dell’invasione russa in Ucraina). Quanto al papa purtroppo non c’è un suo testo che, anche quando lo approvo in sostanza, non mi provochi in qualche passaggio la sensazione di cose già dette e approssimative: come si può dire che questa guerra è stata preparata dai mercanti di armi? siamo nelle giungle africane o latinoamericane?

Pietro

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SULLE “TERZE VIE” NEL GIUDIZIO SULLA GUERRA IN UCRAINA

di Pietro De Marco

A chi segue la discussione italiana e internazionale non sfugge un andirivieni di strategie discorsive e di prognosi che si presentano come illuminate “terze vie”, rispetto alle posizioni “partigiane” pro o contro l’invasione russa dell’Ucraina. Mi sembra di poterle riassumere in quattro schemi principali, che si supportano o contaminano facilmente tra loro.

a. Un primo schema, frequente anche nell’opinionistica americana, è quello che fa perno sull’enunciato: Putin ha già vinto, comunque. Il “già” era comparso subito, dai primi giorni di guerra. Il “comunque” ne è un corollario, che resta come protezione del “già” col passare delle settimane e di fronte alla evidenze di una campagna militare russa al di sotto delle attese dei comandi e del presidente. Questo enunciato che si vuole altamente realistico, che ironizza talora sulle prognosi e speranze di vittoria ucraina, serve a decidere “a priori” e in negativo sulla questione degli aiuti politici e in armamenti al governo di Kyiv. “A priori”, perché finché una guerra non è finita non possiamo conoscerne gli esiti significativi per il poi, e perché vi è quotidiana evidenza del peso militare e politico della resistenza ucraina.

b. Un secondo schema è quello della narrazione delle responsabilità dell’aggredito (nella sua classe dirigente filoeuropea) e in generale della sua cattiva reputazione. Qui l’atteggiamento scettico-ostile si avvale di un giudizio di indifendibilità della parte offesa. Più direttamente della prima strategia, questa seconda assume gli argomenti russi a motivazione dell’aggressione, anche se non ne ricava esplicitamente la sua giustificazione. La diversità dalla prima consiste nel privilegiare l’argomento politico-moralistico rispetto a quello realistico. Il risultato è l’assenza di quadro e calcolo geopolitico, assieme a una opzione a vantaggio dell’aggressore in quanto sostanzialmente legittimato dall’indegnità dell’aggredito. L’argomento moralistico si rafforza, poi, di toni ritorsivi verso gli Stati Uniti e quanti in Europa di volta in volta non hanno altrettanto condannato le guerre irakene, la guerra “umanitaria” contro la Serbia, la guerra in Afghanistan, Israele. Il carattere delle prove addotte (dettagli storico-politici, biografici, bellici, morti contro morti, invasioni contro invasioni) permette a questa strategia idealistica di ignorare le diversità di situazioni, ragioni, attori, e di trarne le conseguenze per l’oggi effettuale.

c. Una ulteriore “terza via” è quella che svaluta la specificità geopolitica ucraina ed europea, e rinvia a un processo in corso di “reset” delle società mondiali e di costruzione di un nuovo ordine. Le specificità ucraina e altre sarebbero solo contingenti, trattandosi sempre di conferme (ora sul terreno più o meno imprevisto di una guerra classica) di una postulata e indeterminata volontà, attribuita a soggetti occidentali astratti e onnipotenti, di dissolvere nel mondo ogni polo di resistenza al nuovo ordine; polo oggi individuato in Putin. L’argomentazione pone di volta in volta il “reset” più su terreni economici (con recuperi neo-marxiani) o più sui politici (denunciando la deriva postdemocratica, ordo-liberale) o più su quelli culturali-antropologici (denunciando il progetto postumanista). Non senza buone ragioni settoriali, che però si dissolvono o incattiviscono in generalizzazioni visionarie.

La Russia di Putin, magari con la sua componente cristiano ortodossa, rappresenterebbe, dunque, un fronte di resistenza, consapevole o solo di fatto, alla affermazione compiuta del nuovo padrone globale previsto e già in marcia (come le forze del male oscuro, a tema nella letteratura “fantasy” nata da Tolkien; solo che in altri decenni Mordor era l’URSS, oggi per l’Occidente che odia se stesso lo sono gli USA o le oscure potenze mondiali). Saremmo già tutti servi, ma i pochi servi non consenzienti al dominio si affidano, contro il padrone mondiale, a questo potere frenante e coltivano un ambizioso progetto euro-russo-asiatico capace lui di salvare il mondo. I modelli di alleanza destre-sinistre europee in chiave di rivolta antiamericana e antimoderna sono numerose, con un prototipo nel nazionalcomunitarismo del belga Jean Thiriart (1922-1992).

d. Una quarta e diffusa via d’uscita dagli “aut aut” della presa di posizione è quella del primato della trattativa e della pace prima e sopra ogni altra considerazione. Anche in questo caso la specificità della guerra in Ucraina è ricondotta a una categoria generale, la guerra, e ogni analisi entro la logica propria della guerra in corso (chi vi prevale o prevarrà, chi vi combatte legittimamente, di chi favorire il successo o almeno una vittoriosa capacità di contrasto) appare solo legna al fuoco della guerra in genere. Questa linea si integra spesso con un giudizio politico: l’Europa è assente dalla decisione su pace e guerra, subisce questa guerra, ma deve risolversi ad essere protagonista con una decisiva mediazione per la pace, sottraendo a Russia e Ucraina, anzi agli Stati Uniti, gli obiettivi e la conduzione del conflitto.

Ma, da un lato, questa guerra non è una colluttazione tra privati o tra bande, né un “putsch” indotto dai mercanti di armi. Solo entro categorie moralistiche tutto è uguale, mentre non lo sarebbe per una seria morale casistica. Cosa comporta fermare la guerra in quel dato momento? La domanda è rilevante e primaria, non accessoria o addirittura immorale. Chi si preoccupa solo della pace non vede che l’Ucraina non è, né deve diventare, terra disponibile, soggetta al primo occupante.

Dall’altro lato, l’Unione europea ben diversamente da essere assente è parte attiva della guerra. Essa sa che le potenze occidentali, gli USA in particolare, hanno sulla coscienza l’aver abbandonato a Stalin fino all’ultimo metro i territori occupati dall’Armata rossa, per una sorta di ottimismo sulla natura e l’evoluzione dell’URSS. Quegli oltre quarant’anni di storia vengono in certo modo riscattati a partire dal 1989. Ma pensare, o far pensare, in questi giorni che se l’Europa fosse attiva e autonoma avrebbe fermato subito (quindi ad ogni costo per l’Ucraina e per l’Europa stessa) la guerra, è un duplice falso, poiché l’Europa è volontariamente co-protagonista con gli USA, e ha deciso di stare dalla parte dell’Ucraina. L’Unione europea pubblica e storica è la decisione dei suoi governi, non l’interesse privato dei suoi abitanti. E la decisione dei governanti europei, in questa materia e congiuntura, è l’interesse pubblico dei governati.

A tutti gli effetti, lo vediamo: ognuna delle “terze vie” si risolve in un giudizio scettico-ostile nei confronti della resistenza ucraina, dunque volenti o nolenti è a favore di Putin in nome di uno “status quo” macro-europeo (Unione europea più Russia come Comunità degli Stati Indipendenti) sia pure valorizzato o idealizzato in prospettive diverse. Ma proprio questo “status quo” da preservare senza “destabilizzare” o “sfidare” o “preoccupare” la Russia postsovietica è ormai fittizio. Né equilibrio, né amicizia, né pace. Da tempo è scosso dall’azione “revanchiste” di Putin, mentre per anni l’inattività europea, prevalente sulle iniziative della NATO, più che conservativa di un equilibrio è stata confermativa delle iniziative russe di contrasto alla progressiva occidentalizzazione dei paesi ex URSS. Nei quattro stili argomentativi e nelle loro mescolanze, sia la neutralità scettica sia il virtuoso richiamo alla priorità di una pace su ogni altra considerazione, implicano logicamente la condanna della resistenza ucraina alla sconfitta e il suo abbandono al vincitore. Lo avrebbero implicato subito.

Un’ultima notazione. Per accentuare l’irrilevanza della guerra in corso, come qualcosa che non varrebbe la nostra attenzione o i nostri sacrifici economici, tantomeno una nostra seria, militante presa di posizione, si dice che si tratta di una “guerra d’altri tempi”. Naturalmente non vi è nulla nell’esistente che non sia d’altri tempi. L’agire è sempre istituito nella memoria. Ma questo punto di vista, purtroppo prevalente tra opinionisti giovani, rivela quanto le nostre menti siano sature del mito illuministico del “tempo nuovo” subentrante al vecchio, immediatamente privato di esistenza o legittimità.

Questo mito (nel senso negativo del termine) è tanto più pericoloso perché, per le generazioni recenti, a subentrare come reale è spesso il virtuale, il videogioco, Matrix, comunque guerre e paci sul web. Ma un orizzonte di attesa non articolato a uno spazio di esperienza è pura fantasticheria. Se prendere un ceffone, come buscarsi una pallottola, è cosa “d’altri tempi”, implausibile, è anche il messaggio dell’unica realtà. Andrebbe tenuto presente.

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“HO LETTO. CIÒ IN CUI DIVERGIAMO…”

Caro Pietro,

ho letto le tue argomentate riflessioni. Ciò in cui divergiamo è nella preoccupazione di fondo. Io vedo la discesa verso il baratro pilotata da falchi che escludono al momento ogni forma di negoziato. In una soluzione negoziata l’Ucraina dovrà concedere qualcosa e la Russia a sua volta. Non è pensabile che Putin, dopo la sua sciagurata decisione, torni a casa dicendo “abbiamo scherzato”. L’Ucraina dovrà concedere quello che poteva dare prima senza arrivare ora alla distruzione del Paese: niente ingresso nella NATO e autonomia del Donbass. Noi lo abbiamo fatto con l’Alto Adige.

Quando il papa parla di mercanti d’armi intende il riarmo ucraino da parte della NATO, che va avanti da anni. Comunque la proposta del presidente Zelensky di coinvolgere la NATO è segno di grave irresponsabilità. Una tale decisione comporta chiaramente la  terza guerra mondiale. Mi pare evidente che il presidente ucraino sia persuaso non solo di poter resistere ma anche di sconfiggere l’invasore. Dietro tale persuasione c’è l’America e la Gran Bretagna le quali sfruttano la guerra per ridisegnare la geopolitica dei blocchi contrapposti.

È fondata la persuasione del presidente Zelensky? Può realmente l’Ucraina armata dall’Occidente respingere del tutto l’armata russa? Oppure questo porterà alla totale distruzione della sua nazione con il rischio del coinvolgimento europeo? C’è qualcuno in Europa che è in grado di rispondere con sicurezza a queste domande? Se non si ha la certezza di una vittoria, rapida e meno devastante possibile, allora tutti i dubbi sul prolungamento della guerra sono leciti.

È in questa prospettiva che la prospettiva del papa, angosciato per la sorte del popolo ucraino e per il possibile allargamento del conflitto, appare del tutto realistica. Molto più realistica di coloro che in questo momento, intellettuali e giornalisti, fanno il tifo per il conflitto senza chiedersi se esso, soprattutto da parte americana, è finalizzato ad ottenere migliori condizioni di pace o solo a ridisegnare aree di potenza. Il tutto sulla pelle del povero popolo ucraino.

Massimo

 

1 pensiero su “Non c’è “terza via” tra resistenza o resa? Dibattito con De Marco sul blog di Magister”

  1. Continuo ad approvare in pieno le tesi di Massimo Borghesi, coerentemente volte a spiegare le prese di posizione di papa Francesco. Soprattutto sul comportamento di Zelensky e della Nato ho le stesse riserve di Massimo

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