Egemonia culturale. uno sguardo cristiano

La rivista “Vita e Pensiero”, nel suo ultimo numero, 4 (2023), pubblica un dossier su «Egemonia culturale. uno sguardo cristiano» (pp. 83-97) con interventi di Chiara Giaccardi, Pierangelo Sequeri, Franco Garelli, Mariapia Veladiano e mio.

Offro qui una parte del mio intervento titolato: «Ripartire dalle emozioni e dal vissuto».

«La Chiesa è in grado di esercitare una egemonia culturale nell’Italia di oggi? Palesemente, no. Se ne avesse i mezzi e le capacità si tratterebbe di una finalità corretta, da parte del cattolicesimo, di esercitare un ruolo leader nella direzione delle coscienze? Anche in questo caso occorre rispondere negativamente. L’egemonia culturale presuppone, gramscianamente, un soft power, un potere leggero il quale, però, è pur sempre un potere. Una egemonia cattolica implica una cristianità chiusa, quale poteva essere la Spagna di Francisco Franco o l’Irlanda prima degli scandali che hanno travolto clero e religiosi. Si tratta di società che più che essere “cattoliche” sono clericali, adialogiche ed asfittiche, condannate a generare, per reazione, il loro contrario etico-politico. Ogni clericalismo porta con sé la sua nemesi anticlericale.

Se la Chiesa non può né deve perseguire il sogno di una “egemonia cattolica”, altra cosa è la proposta ideale che il cristianesimo, vissuto e pensato, porta con sé. La questione non riguarda, in tal caso, l’egemonia ma la pro-vocazione che il cristianesimo comporta sul piano esistenziale e su quello ideale. L’interrogativo riguarda, innanzitutto, la cultura vissuta, quella che orienta i rapporti e la vita quotidiana. La Chiesa esercita in Italia un peso su questa dimensione culturale del vissuto? La risposta in questo caso non può non essere positiva. Cultura designa qui non la sfera “alta”, accademica, del sapere ma la visione che si nutre del “mondo-della-vita” (Husserl), del senso dell’esistere originato dalle e nelle pratiche solidali e comunitarie. In Italia questa dimensione etico-religiosa del vissuto si palesa, ogni volta, nei suoi tornanti drammatici come nei terremoti, nelle alluvioni, nella pandemia. In quei momenti viene alla luce la prassi e la concezione cristiana dell’esistenza. Il mondo-della-vita, per quanto segnato dalla visione edonistica ed utilitaristica della ideologia dominante, esprime ancora una cultura, una concezione del mondo permeata dai mille gesti solidali promossi dalla Chiesa in Italia. Questa dimensione, sottovalutata dalla cultura d’elite, è fondamentale perché essa indica il livello con cui la proposta cristiana può incontrare gli uomini di oggi, i giovani in particolare. Come papa Francesco ha affermato il 13 settembre 2018: «La teologia, infatti, non può essere astratta – se fosse astratta, sarebbe ideologia -, perché nasce da una conoscenza esistenziale, nasce dall’incontro col Verbo fatto carne! La teologia è chiamata allora a comunicare la concretezza del Dio amore. E tenerezza è un buon “esistenziale concreto”, per tradurre ai nostri tempi l’affetto che il Signore nutre per noi. Oggi, infatti, ci si concentra meno, rispetto al passato, sul concetto o sulla prassi e più sul “sentire”. Può non piacere, ma è un dato di fatto: si parte da quello che si sente. La teologia non può certamente ridursi a sentimento, ma non può nemmeno ignorare che in molte parti del mondo l’approccio alle questioni vitali non inizia più dalle domande ultime o dalle esigenze sociali, ma da ciò che la persona avverte emotivamente».

Il Papa fa qui un’affermazione di grande rilievo: «L’approccio alle questioni vitali non inizia più dalle domande ultime o dalle esigenze sociali, ma da ciò che la persona avverte emotivamente». Come a dire che la linea lungo la quale il cristianesimo può incontrare il mondo non è più quella filosofica degli anni ’50, segnati dall’esistenzialismo e dalle domande sul senso della vita, né quella politica degli anni ’70, segnati dall’impegno militante e ideologico del marxismo, ma trova la sua possibilità in una sensibilità nuova che caratterizza l’ora presente. Questo è un giudizio storico che motiva l’insistenza con cui Francesco parla della tenerezza di Dio. L’uomo di oggi è, nella sua fragilità, particolarmente ricettivo alla dimensione affettiva. Nel “mondo senza legami”, nella società liquida, il tema del senso della vita non rappresenta la conclusione di un ragionamento logico quanto l’esito della scoperta di sentirsi amati, voluti bene».

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Nell’ultima parte mi interrogavo sulla possibilità o meno che questo piano del “vissuto”, intercettato dall’esperienza cristiana, sia in grado o meno di pervenire oggi ad una cultura “alta”, di tipo accademico. Tema che avevo già affrontato, in precedenza, su «Vita e pensiero».

Le mie riflessioni odierne sono state valutate negativamente da Stefano Fontana sul blog di orientamento conservatore “La Nuova Bussola Quotidiana”. Fontana intende la mia posizione come una caduta nell’emozionalismo post-moderno. Evita così di misurarsi con la nozione di “conoscenza affettiva”, tema da me trattato in diverse pubblicazioni. Cuore e ragione non devono opporsi ma devono unirsi in una complementarietà che ci restituisca l’umano nella sua integralità. Così possiamo arrivare anche al vissuto dell’uomo odierno elevandolo ad una domanda sul senso dell’esistenza.

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