Vi propongo un articolo uscito su VP Plus, il quindicinale online della rivista Vita e Pensiero. L’articolo è stato ripreso lunedì 13 marzo anche dal sito IlSismografo.
VP Plus, sabato 11 marzo, Il Giubileo del 2025. Dalla Misericordia alla Fede? (Massimo Borghesi)
I dieci anni del pontificato di Francesco rappresentano l’occasione per un bilancio e, al contempo, anche una ricorrenza in cui si delineano scenari futuri. Cosa può ancora dire il Papa che viene dall’altra parte del mondo alla Chiesa? Si può immaginare che i prossimi anni siano segnati da qualche appuntamento importante. Tra questi il Giubileo del 2025 riveste un posto di primo piano. Il precedente, quello del 2015, era dedicato alla Misericordia quale via della Chiesa nel nuovo millennio. Era la strada già percorsa da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI, come confermerà Ratzinger, dopo le sue dimissioni, nella sua intervista del 16 marzo 2016 al gesuita Jacques Servais.
Per me è un «segno dei tempi» il fatto che l’idea della misericordia di Dio diventi sempre più centrale e dominante […]. Papa Giovanni Paolo II era profondamente impregnato da tale impulso, anche se ciò non sempre emergeva in modo esplicito. Ma non è di certo un caso che il suo ultimo libro, che ha visto la luce proprio immediatamente prima della sua morte, parli della misericordia di Dio. A partire dalle esperienze nelle quali fin dai primi anni di vita egli ebbe a constatare tutta la crudeltà degli uomini, egli afferma che la misericordia è l’unica vera e ultima reazione efficace contro la potenza del male. Solo là dove c’è misericordia finisce la crudeltà, finiscono il male e la violenza. Papa Francesco si trova del tutto in accordo con questa linea. La sua pratica pastorale si esprime proprio nel fatto che egli ci parla continuamente della misericordia di Dio. È la misericordia quello che ci muove verso Dio, mentre la giustizia ci spaventa al suo cospetto. A mio parere ciò mette in risalto che sotto la patina della sicurezza di sé e della propria giustizia l’uomo di oggi nasconde una profonda conoscenza delle sue ferite e della sua indegnità di fronte a Dio. Egli è in attesa della misericordia. Non è di certo un caso che la parabola del buon samaritano sia particolarmente attraente per i contemporanei.
Per Benedetto XVI «è la misericordia quello che ci muove verso Dio». Questo spiega perché Ratzinger abbia iniziato il suo pontificato con l’enciclica Deus caritas est, una scelta non casuale. Una scelta condivisa pienamente dal suo successore per il quale la misericordia appare, oggi più che mai, come la via maestra verso la fede. Questa prospettiva lascia, forse, indovinare quale potrebbe essere la preoccupazione del Pontificato nei prossimi anni, quelli che ci separano dal Giubileo del 2025: tracciare il sentiero verso la fede per gli uomini del terzo millennio. Nel caso di Francesco si tratterebbe di una duplice ripresa di un tema che si pone all’inizio del suo Magistero. Da un lato abbiamo la enciclica Lumen fidei, edita nel 2013, il cui testo già elaborato in larga misura da papa Benedetto è stato ampliato e pubblicato poi da Francesco. Frutto della collaborazione tra due papi esso reca in sé la preoccupazione per la rinascita della fede nel mondo contemporaneo profondamente segnato dai processi di secolarizzazione. Una rinascita che il Giubileo del 2015, così come l’intervista di Ratzinger a Servais, lega alla Misericordia. Alla Caritas in veritate, la lettera enciclica di Benedetto del 2009, dovrebbe allora idealmente seguire una Veritas in caritate.
Il Giubileo del 2025 consentirebbe, in tal modo, la ripresa di un punto chiave di Evangelii gaudium, l’Esortazione apostolica del 2013 vero manifesto del Pontificato di Bergoglio: quello del primato del Kerygma sulla dottrina morale. Come scrive il Papa:
Una pastorale in chiave missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere. Quando si assume un obiettivo pastorale e uno stile missionario, che realmente arrivi a tutti senza eccezioni né esclusioni, l’annuncio si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario. La proposta si semplifica, senza perdere per questo profondità e verità, e così diventa più convincente e radiosa. Tutte le verità rivelate procedono dalla stessa fonte divina e sono credute con la medesima fede, ma alcune di esse sono più importanti per esprimere più direttamente il cuore del Vangelo. In questo nucleo fondamentale ciò che risplende è la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto. […] Tutte le virtù sono al servizio di questa risposta di amore. Se tale invito non risplende con forza e attrattiva, l’edificio morale della Chiesa corre il rischio di diventare un castello di carte, e questo è il nostro peggior pericolo. Poiché allora non sarà propriamente il Vangelo ciò che si annuncia, ma alcuni accenti dottrinali o morali che procedono da determinate opzioni ideologiche. Il messaggio correrà il rischio di perdere la sua freschezza e di non avere più “il profumo del Vangelo”.
Evangelii gaudium invitava, in tal modo, a porre l’annuncio cristiano prima delle implicazioni etiche, lo spirito missionario prima delle culture wars dominanti in tanta parte del cattolicesimo odierno. In ciò l’Esortazione riprendeva il documento della grande Conferenza dell’episcopato latino-americano, celebratosi ad Aparecida il 13-31 maggio 2007 sotto la guida del cardinal Bergoglio. Nei paragrafi 11 e 12 il documento, riferendosi a una Chiesa missionaria, recitava:
È necessario confermare, rinnovare e rivitalizzare la novità del Vangelo, radicata nella nostra storia, a partire da un incontro personale e comunitario con Gesù Cristo, che susciti discepoli e missionari. Questo non dipende tanto da grandi programmi e strutture, quanto piuttosto da uomini e donne nuovi, che incarnino tale tradizione e novità, come discepoli di Gesù Cristo e missionari del suo Regno, protagonisti di vita nuova per un’America Latina che vuole reincontrare se stessa con la luce e la forza dello Spirito. Non può resistere agli urti del tempo una fede cattolica ridotta ad un bagaglio di conoscenze, a un’elencazione di alcune norme e proibizioni, a pratiche frammentate di devozioni, a un’adesione selettiva e parziale alle verità di fede, alla partecipazione occasionale ad alcuni sacramenti, alla ripetizione di principi dottrinali, a moralismi blandi o esasperati, che non trasformano la vita dei battezzati. La minaccia più grande per noi «è il grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa, nel quale in apparenza ogni cosa procede normalmente, ma in realtà la fede si logora e decade nella meschinità». Tocca a noi «ricominciare da Cristo», riconoscendo che «all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva».
La Chiesa di Aparecida, come quella di Evangelii gaudium, è una Chiesa missionaria, una Chiesa che comunica e testimonia la fede in Cristo al mondo. Il secondo Giubileo del Pontificato potrebbe essere l’occasione per riproporre questo grande tema al mondo di oggi.
Massimo Borghesi
Massimo Borghesi è professore ordinario di Filosofia morale all’Università di Perugia. Tra le sue più recenti pubblicazioni: “Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale” (2017), “Romano Guardini. Antinomia della vita e conoscenza affettiva” (2018), “Ateismo e modernità” (2019), “Francesco. La Chiesa tra ideologia teocon e «ospedale da campo»” (2021).