IlSussidiario.net, mercoledì 23 luglio, GUERRA A GAZA/ Netanyahu e lo zenit della violenza: la denuncia di Leone XIV e di 28 Paesi del mondo (Massimo Borghesi)
Netanyahu non è più il difensore dell’Occidente in Medio Oriente ma la sua disgrazia. Il papa e 28 Paesi gli chiedono di chiudere la guerra a Gaza
Nella storia la violenza raggiunge dei picchi oltre i quali ogni giustificazione ideologica addotta non funziona più. Quando il sangue scorre a fiumi gli ideali si perdono nel fango, nei volti sfigurati delle vittime. La violenza “pura”, la violenza per la violenza, rende i suoi protagonisti attori del teatro dell’assurdo, figure meschine prive di anima. Netanyahu e i ministri del suo governo hanno superato ogni limite, animati da un risentimento antico, dal calcolo cinico sommato al messianismo della destra religiosa, hanno scatenato, a partire dal gesto barbaro di Hamas del 7 ottobre 2023, una reazione senza fine, smisurata.
Ad ogni ebreo ucciso corrispondono, ad oggi, 60 palestinesi ammazzati: quasi 60.000 in tutto. Tra essi una infinità di donne, vecchi, bambini. Il governo Netanyahu non rappresenta appieno Israele. Ben prima del 7 ottobre una opposizione interna, forte del consenso popolare, ne chiedeva la destituzione. È stata la guerra che ha blindato il suo governo: il destino politico e umano del primo ministro d’Israele è legato al perpetuarsi della guerra.
Ecco perché siamo di fronte ad un conflitto assurdo, perché in teoria esso sembra non avere né fine né fini. I bombardamenti a Gaza continuano, senza una ragione apparente: gli aerei scaricano bombe non su obiettivi militari, ma sui quartieri, le scuole, le sedi dell’Onu, gli ospedali, su tutto. Fino alla distruzione di Hamas si ripete, in realtà fino all’evacuazione di Gaza. Come scrive Ettore Sequi su La Stampa:
“Le ragioni della strategia israeliana si articolano in quattro assi. Primo, sopravvivenza politica: sotto processo e abbandonato da alcuni alleati, Netanyahu usa la guerra per puntellare la sua posizione. Secondo, pressione ideologica: i suoi ministri, esponenti della destra messianica, Smotrich, Ben-Gvir e i coloni più radicali, vedono una tregua come resa inaccettabile e spingono per la “conquista totale” di Gaza e della Cisgiordania.
Terzo, calcolo negoziale: ogni giorno in più di guerra logora Hamas, disintegra infrastrutture civili e spinge la popolazione palestinese al collasso, rafforzando Israele nei negoziati e alimentando la disperazione a Gaza. Quarto, scudo geopolitico: Netanyahu sa che il veto Usa lo protegge dalle sanzioni e che Trump, pur irritato, non romperà l’asse strategico. Il sostegno della base evangelica americana, filo trumpiana, rafforza la sua impunità” (Se nessuno riesce a fermare Netanyahu che vuol fare del conflitto una norma, 21-07-25).
In questa prospettiva “La sofferenza civile, metodicamente inflitta, non è un effetto collaterale, ma una scelta deliberata. Questo scenario certifica il collasso della deterrenza etica: i vincoli che, formalmente, limitavano l’uso della forza da parte delle democrazie stanno venendo meno. Oggi la protezione dei civili è negoziabile. La guerra è gestione. L’etica è calcolo”.
In Europa, lo sappiamo, l’operato di Netanyahu ha goduto finora di connivenza, ha beneficiato di grandi silenzi. Questo clima omertoso ha la sua giustificazione nel fatto che Israele è uno Stato democratico, amico dell’Occidente. È questa giustificazione, unita al ricordo dell’Olocausto, che hanno garantito al governo israeliano impunità e comprensione. Non si è compreso, non si è voluto comprendere, che Netanyahu rappresenta oggi la crisi della democrazia israeliana, il punto più basso della sua storia, il principale responsabile del ritorno (infausto) dell’antisemitismo. È il nesso tra democrazia e violenza che oscura attualmente il volto d’Israele, il messianismo del “grande Israele” lo corrode in una sorta di delirio di onnipotenza.
Al punto di coltivare il sogno di allargarsi a Gaza e alla Cisgiordania costringendo i palestinesi alla fuga e all’esilio. Un sogno alimentato da continui episodi di violenza sotto gli occhi vigili e complici dell’esercito.
Come ha affermato l’ex premier israeliano Ehud Olmert, che è stato capo del governo dal 2006 al 2009: “Se oggi questa gioventù delle colline, che io definisco gioventù atroce delle colline, si sente così forte da agire platealmente anche contro le leggi del proprio Paese e del diritto internazionale, è proprio grazie ai nostri nemici interni, come io chiamo i ministri dell’attuale governo. A causa dei suoi crimini di guerra contro i palestinesi, sia della Striscia sia della Cisgiordania, la stessa democrazia israeliana è in pericolo” (Olmert: A Rafah un campo di concentramento per dare ai coloni il nord della Striscia, Il Fatto Quotidiano, 21-07-25).
Tra i palestinesi discriminati vi sono anche i cristiani. Tra essi i 1300 abitanti del piccolo villaggio di Taybeh, l’antica Efraim. Lì il parroco, padre Bashar Fawadleh, intervistato dal Messaggero afferma:
“Viviamo una vita difficile, pericolosa. Non abbiamo alcun diritto di muoverci. Non abbiamo diritto di viaggiare, di lavorare, di giocare, di fare qualsiasi cosa. Insomma, non abbiamo alcun diritto di vivere. … Dal 7 ottobre 2023 ad oggi, stiamo affrontando molte difficoltà. Hanno iniziato occupando la nostra terra. Hanno costruito edifici, insediamenti e case per i coloni. Poi hanno cominciato con i posti di blocco militari per rendere difficile anche solo entrare e uscire dal villaggio. Hanno iniziato a fare controlli, a fermare le persone, a costringerci ad aspettare ore, quando prima in venti minuti arrivavamo a Gerusalemme o Ramallah. Ma ora c’è una novità. … Della violenza dei coloni.
Non avevamo mai visto niente del genere in passato. Ma ormai sono liberi di fare ciò che vogliono. In queste settimane, hanno incendiato case e automobili. Non lontano da qui, a Kafr Malik, hanno anche ucciso dei palestinesi. E noi ci sentiamo completamente indifesi. … Viviamo nel terrore, è inevitabile”.
“Hanno appiccato il fuoco alle porte del paese. Più volte i miei parrocchiani sono stati colpiti con bastoni di legno o sbarre di ferro semplicemente perché andavano nei propri campi o pascolavano le proprie pecore. Hanno anche rubato le cisterne d’acqua e preso gli alberi. E ora i coloni hanno iniziato a portare anche il bestiame nelle nostre terre e nel nostro stesso villaggio (Padre Bashar Fawadleh: “Nell’ultimo villaggio cristiano abbiamo il terrore dei coloni. Non siamo più liberi di vivere”, 21-07-25).
È stato a seguito di questi episodi che il cardinal Pizzaballa è andato a Taybeh per portare la sua solidarietà, il 14 luglio, insieme al patriarca greco-ortodosso Teofilo III. La risposta del governo non si è fatta attendere. Il colpo del tank israeliano sparato contro la chiesa della Sacra Famiglia a Gaza City il giovedì 17, che ha provocato tre vittime e numerosi feriti.
Un “errore”, come si è affrettato a dire Netanyahu nella sua telefonata al Papa, o una deliberata intimidazione? Domanda più che legittima se lo stesso cardinal Parolin si è chiesto: “Diamo tempo, quello che è necessario, perché ci dicano che cosa è effettivamente successo, se è stato veramente un errore, cosa di cui si può legittimamente dubitare, o se c’è stata una volontà di colpire una chiesa cristiana”. Di errore comunque si è trattato. Non nel senso di un colpo casuale ma nel senso tattico-strategico. Con il colpo di cannone sparato contro la chiesa la violenza dell’esercito israeliano ha infatti raggiunto il suo zenit. Innanzitutto in senso mediatico.
Ora anche per l’opinione pubblica occidentale il limite appare superato e lo sdegno del mondo non può essere più coperto, nascosto. Uno sdegno che ha trovato nella voce di Leone XIV la sua espressione più alta. Come ha detto il Papa nel suo Angelus di domenica, dopo l’attacco israeliano alla chiesa di Gaza:
“Esprimo il mio profondo dolore per l’attacco dell’esercito israeliano contro la Parrocchia cattolica della Sacra Famiglia in Gaza City; come sapete giovedì scorso ha causato la morte di tre cristiani e il grave ferimento di altri. Prego per le vittime, Saad Issa Kostandi Salameh, Foumia Issa Latif Ayyad, Najwa Ibrahim Latif Abu Daoud, e sono particolarmente vicino ai loro familiari e a tutti i parrocchiani.
Tale atto, purtroppo, si aggiunge ai continui attacchi militari contro la popolazione civile e i luoghi di culto a Gaza. Chiedo nuovamente che si fermi subito la barbarie della guerra e che si raggiunga una risoluzione pacifica del conflitto. Alla comunità internazionale rivolgo l’appello a osservare il diritto umanitario e a rispettare l’obbligo di tutela dei civili, nonché il divieto di punizione collettiva, di uso indiscriminato della forza e di spostamento forzato della popolazione”.
Il Papa denuncia qui per nome l’aggressore – l’esercito israeliano – e si oppone al progetto di “spostamento forzato della popolazione”. Parole chiare e forti che ora trovano un appoggio nuovo, inedito, nel concerto dei 28 Paesi che hanno approvato un documento di condanna di Israele invitandolo a cambiare radicalmente direzione.
Il messaggio è siglato, tra altri, da Ministri di Paesi dell’Ue (Italia, Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Slovenia, Spagna e Svezia) e Ministri di Paesi extra-Ue (Australia, Canada, Islanda, Norvegia, Nuova Zelanda, Regno Unito, Svizzera e Giappone). I firmatari condannano “il rilascio a rilento degli aiuti umanitari e l’uccisione disumana di civili, compresi bambini, mentre cercano di soddisfare i propri bisogni essenziali di acqua e cibo”. Definiscono “agghiacciante” l’uccisione degli “oltre 800 palestinesi” che “tentavano di accedere agli aiuti”.
È quindi “inaccettabile” “il rifiuto da parte del Governo israeliano di fornire assistenza umanitaria essenziale alla popolazione civile. Israele deve adempiere ai propri obblighi ai sensi del diritto umanitario internazionale”. Il documento si oppone “fermamente a qualsiasi misura che implichi un cambiamento territoriale o demografico nei Territori palestinesi occupati. Il piano di insediamento E1 annunciato dall’Amministrazione Civile israeliana, se attuato, dividerebbe in due il futuro Stato palestinese”. Questa è una “palese violazione del diritto internazionale” che comprometterebbe “gravemente la soluzione dei due Stati”. Anche per questo, la condanna arriva fino alla Cisgiordania, dove “la costruzione di nuovi insediamenti, compreso a Gerusalemme Est, ha subito un’accelerazione, mentre le violenze da parte dei coloni nei confronti dei palestinesi sono aumentate drasticamente. Tutto ciò deve cessare”.
La guerra deve finire ora! Questo è il messaggio dei 28 Stati. Tra i grandi dell’Occidente mancano solo la Germania e gli Stati Uniti. Non l’Italia che finalmente ha preso una posizione chiara dopo avere tentennato a lungo.
La deportazione di oltre due milioni di palestinesi da Gaza e l’esodo forzato di migliaia di coloni in Cisgiordania è inammissibile. È la loro terra, la loro storia. Israele che ha sofferto a lungo della figura dell’Ebreo errante dovrebbe saperlo più di altri. Il suo governo attuale non sta coltivando la memoria dell’Olocausto, la sta distruggendo. Netanyahu non è il difensore dell’Occidente nel Medio Oriente, è la sua disgrazia. Così come è una disgrazia per Israele. I palestinesi non andranno via dalla loro terra. L’amano troppo e, comunque, non hanno dove andare. Come ha ricordato il cardinal Pizzaballa, dopo la sua visita alla parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza City:
“Abbiamo camminato tra la polvere delle macerie, ovunque, nei cortili, nelle strade come pure nei vicoli. E nelle spiagge abbiamo visto migliaia di tende che sono diventate le case di chi ha perso tutto. Famiglie che hanno perso il conto dei giorni di esilio dalle loro residenze, e che non vedono un orizzonte di ritorno. Bambini che parlano e giocano senza battere ciglio, perché ormai abituati al rumore delle bombe”.
[Tuttavia] abbiamo incontrato qualcosa di più profondo: la dignità dello spirito umano che rifiuta di estinguersi. Mamme che preparano da mangiare, infermieri che curano i feriti con amorevolezza, e gente di ogni fede che ancora prega Dio, che vede e non dimentica. … Cristo non è assente da Gaza. È lì crocifisso, tra i feriti, sepolto sotto le macerie, e presente in ogni atto di misericordia, una candela nel buio, ogni mano protesa verso il sofferente” (Pizzaballa e Teofilo: “Gaza, un luogo di devastazione ma anche di grande umanità”, Vatican News, 22-07-25).