Vi riporto la mia prefazione al volume di Riccardo Cristiano, «Figli dello stesso mare. Francesco e la nuova alleanza per il Mediterraneo» edito da Castelvecchi.
Riccardo Cristiano, giornalista ed esperto vaticanista dal 2000, fondatore dell’associazione Giornalisti amici di padre Dall’Oglio, è stato a lungo inviato in Medio Oriente e poi coordinatore dell’informazione religiosa di Radio Rai. Attualmente collabora con Reset e La Stampa.
È autore dei volumi: Bergoglio o barbarie. Francesco davanti al disordine mondiale, prefazione di Marco Impagliazzo (Castelvecchi 2020); Siamo tutti della stessa carne. Dialogo su Fratelli tutti tra un cattolico e un agnostico (con Riccardo d’Ambrosio, Castelvecchi 2020); Dall’Oglio. Il sequestro che non deve finire (Castelvecchi 2020).
Il libro verrà presentato venerdì 22 aprile 2022 alle ore 17.30. All’evento, in diretta su Formiche.net e sulla pagina Facebook di Formiche, parteciperanno, insieme all’autore, Nader Akkad, Imam della Moschea di Roma e Luca Geronico, giornalista di Avvenire, oltre al sottoscritto. Modera Emanuele Rossi, giornalista di Formiche.net.
Contro il dio dei violenti. Il Papa e il dialogo tra cristianesimo e Islam.
Il momento presente, drammatico per tanti aspetti, sta aprendo scenari di confronto e di dialogo, anche sul piano religioso, che non ha eguali nella storia. Di questo si occupa il ricco e documentato volume di Riccardo Cristiano Francesco: la Nuova Santa Alleanza per rifare il Mediterraneo. L’autore, giornalista esperto che ha conosciuto direttamente, per il suo lavoro, i Paesi del Medio Oriente di cui tratta nel libro, è stato amico di padre Paolo Dall’Oglio, rapito e poi scomparso in Siria il 29 luglio 2013. Il ricordo di Dall’Oglio, della sua testimonianza e del suo tenace e drammatico dialogo con l’Islam, torna ripetutamente nelle pagine di Cristiano. La “Nuova Alleanza”, di cui parla l’autore, è quella tra i popoli di Abramo, tra i membri “arabi” di fedi diverse, chiamati a superare l’orizzonte delle divisioni religiose, la spartizione dei poteri in base alle appartenenze di fede, la formula del protettorato che chiude le varie comunità in mondi chiusi, non comunicanti. Si tratta di una “Santa Alleanza” diversa da quella che, nel 1815, riportava l’Europa allo “status quo” precedente la rivoluzione e le guerre napoleoniche. La prospettiva che guida Cristiano è quella di una nuova concezione nel rapporto tra le religioni che trova il suo riferimento nella figura di papa Francesco e nelle personalità più aperte del mondo islamico e cristiano del Mediterraneo e del Medio Oriente. Una concezione che rende possibile pensare ad un cambiamento d’epoca: quella aperta dal manicheismo teologico-politico inaugurato dalla strage delle Torri gemelle provocata dai piloti suicidi di Al-Qaeda 20 anni fa.
Il crollo delle Twin Towers, l’11 settembre 2001, è parso consegnare il mondo nelle mani di un terrorismo “religioso” devastante che pretendeva di richiamarsi direttamente alla fede islamica. Il fascino esercitato da Al Quaeda su migliaia di musulmani, credenti o meno, era proporzionale all’immagine di potenza esercitata dall’abbattimento delle torri nel cuore stesso di New York. Un delirio di onnipotenza, utilizzato poi per scatenare altre guerre e dividere la terra in buoni e cattivi. L’11 settembre segna la crisi dell’era della globalizzazione e inaugura quella dello scontro politico-religioso: dell’Occidente “cristiano” contro l’Iraq di Saddam Hussein prima, della reazione antioccidentale dello Stato islamico dell’Isis poi. Con il risultato di sommare tragedie a tragedie, di destabilizzare e distruggere, materialmente ed umanamente, interi Stati e nazioni, di rendere incandescente tutta l’area del Mediterraneo favorendo l’ambizione di nuove egemonie, russa e turca in primis. Una debacle che ha coinvolto prima l’ideologia teocon, che ha supportato fino al 2009 l’amministrazione Bush Jr., e, successivamente, Daesh sconfitta sul campo di battaglia. È questo doppio fallimento, ideale e, nel caso dell’islamismo radicale, militare, che offre l’opportunità di un nuovo pensiero. Nel suo volume Cristiano dà voce a coloro che, sia da parte cristiana che musulmana, ripudiano lo scontro guerriero tra le religioni e ricercano modalità di coesistenza e di incontro. Questo non vale solo per le minoranze cristiane, interessate evidentemente a sopravvivere nei Paesi a maggioranza islamica, ma per gli stessi credenti in Allah. La violenza in nome di Dio, patrocinata dall’ideologia qaedista, ha provocato infatti non solo la repulsa dell’Occidente ma anche di una gran parte dell’Islam che non si riconosce nella fede in un dio sanguinario. Gli ultimi 20 anni vedono non solo i proclami deliranti dei terroristi fasciati di nero ma anche una discussione interna all’Islam, tesa a definire l’essenza autentica della fede, e, in parallelo, la nascita di un dialogo interreligioso assolutamente inedito. Ricordiamo, come espressioni significative di questa discussione, l’Amman Islamic Message del re Abdullah II di Giordania, nel novembre 2004, il cui proposito era di chiarire al mondo l’autentica essenza dell’Islam. Ad esso seguirà nel luglio 2005, sempre ad opera del re giordano, l’International Islamic Summit, con il fine di raggiungere, “per la prima volta nella storia”, un consenso unanime, da parte di esponenti di scuole diverse, su alcuni punti nodali dell’identità islamica. Nello stesso anno, sempre ad opera del re Abdullah, si aveva l’Amman Interfaith Message rivolto a musulmani, cristiani, ebrei. A questo importante documento seguirà, come risposta al discorso di Regensburg tenuto da Benedetto XVI il 12 settembre 2006, una lettera aperta di 38 personalità musulmane al Papa e, il 13 ottobre 2007, l’importante A Common Word rivolta al Papa e alle principali autorità cristiane nel mondo, patrocinata da re Abdullah di Giordania e sottoscritta da 138 importanti personalità islamiche di tutte le tendenze. Si tratta di un testo di grande rilievo, assolutamente inedito nella lunga e controversa storia dei rapporti tra cristianesimo e Islam. Tutte queste iniziative sono posteriori al 2001. Lo shock dell’11 settembre ha indotto l’Islam ad interrogarsi sulla propria tradizione e ad opporsi, con sempre maggior consapevolezza, alle correnti fondamentaliste che pretendono di assumerne la guida spirituale. Va osservato come questo fenomeno non interessi solo l’Islam, anche se in questo caso è particolarmente accentuato. In realtà a partire dagli anni Novanta assistiamo a un aumento progressivo dell’estremismo religioso che coinvolge anche gli indù, in India, o i settori ultraortodossi in Israele legati al Cassidismo Habad. In tutti questi casi è la politicizzazione della religione l’elemento che è fonte di contrasto e di intolleranza. Diversamente dalla forma secolare, propria del radicalismo politico degli anni Settanta, la caratteristica del nuovo fondamentalismo, di quello islamico in particolare, è data dalla pretesa di un ritorno integrale alla tradizione originaria della fede in antitesi alla degenerazione dei secoli moderni, contrassegnati dalla contaminazione con l’Occidente, cristiano e ateo ad un tempo. Questo fondamentalismo anti-moderno, come dimostra la formazione e l’ideologia di uno dei suoi teorici, l’egiziano Sayyd Qutb, è, in realtà, anch’esso un tipico prodotto degli anni Sessanta-Settanta[1]. Non si tratta di una mera espressione di tradizionalismo ma di una modernità reazionaria che prende forma nell’imitazione dell’antioccidentalismo ideologico marxista che dilaga nell’Europa e nel mondo a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta. La critica all’Occidente che è propria del fondamentalismo è del tutto analoga a quella che il marxismo rivolgeva al sistema capitalistico, egoista e corrotto. Dal marxismo proviene la politicizzazione del religioso così come era già accaduto nel cristianesimo-marxista degli anni Settanta. Il risultato è una teologia politica per la quale il regnum Dei, l’unità “comunista” della Umma, viene a coincidere con la nuova società e le conquiste territoriali realizzate dalla prassi rivoluzionaria. Si ha, in tal modo, una sorta di mimesi per opposizione: l’islamismo radicale ricopia la forma del comunismo ateo che, sul piano religioso, afferma di contrastare. Dal marxismo proviene la legittimazione della violenza, della lotta armata e dell’azione terroristica finalizzata allo scopo finale: l’attuazione del mondo nuovo dei puri e degli incontaminati. È la mentalità manichea, la quale separa rigorosamente i buoni dai cattivi traducendosi poi in azione politica.
Rispetto all’impostazione classica marxista la novità, a partire dalla fine degli anni Ottanta segnati dal crollo mondiale del comunismo, è che la medesima forma mentis trapassa dalla sua fase laica a quella “religiosa”. Entra in scena il fondamentalismo religioso e questo determina la crisi dei modelli consueti sulla secolarizzazione. In realtà il cosiddetto “risveglio religioso” non rappresenta qui una uscita dall’era della secolarizzazione quanto una sua fase ulteriore. Il fondamentalismo, per il quale il momento teologico si identifica compiutamente con quello politico, non è un momento di purificazione della fede ma la fase della sua compiuta mondanizzazione. È la politica, l’azione dell’uomo, che crea lo spazio teologico. Come bene ha scritto Darius Shayegan:
Rivoluzione o Islam? È la religione che cambia la rivoluzione, la santifica, la risacralizza? O è al contrario la rivoluzione che storicizza la religione, che fa di essa una religione impegnata, in breve un’ideologia politica? […] Così facendo, la religione cade nella trappola dell’astuzia della ragione: volendo ergersi contro l’Occidente, si occidentalizza; volendo spiritualizzare il mondo, si secolarizza; e volendo negare la storia, vi si inabissa completamente[2]
Il fondamentalismo non rappresenta semplicemente una reazione all’ateismo e all’irreligiosità, un ritorno alla tradizione; esso costituisce un momento della decomposizione della fede. È quanto ha perfettamente compreso Olivier Roy nei suoi studi sull’Islam radicale anche se il fenomeno della “mimesi per opposizione”, dell’islamismo radicale rispetto al marxismo rivoluzionario, non risulta, nella sua analisi, evidenziato adeguatamente[3]. L’islamismo radicale costituisce un “modernismo reazionario”, una mescolanza tra elementi derivanti dal marxismo rivoluzionario con dettami che provengono, come mostra bene Cristiano, dal modello “meccano” che Maometto inaugura, a seguito dei conflitti bellici, dopo la fase “liberale” propria del periodo di Medina. Come ogni teologia politica è il suo fallimento politico-religioso che determina un vuoto profondo, una vera e propria crisi teologica. Questa non sorge dallo spettacolo disumano e odioso della violenza ma, in stretta analogia con caduta del comunismo, dal fallimento storico-politico del suo modello. È la sconfitta del Dio degli eserciti che apre alla crisi religiosa. Se la fede diviene un fenomeno teologico-politico allora solo il suo fallimento politico determina la sua crisi teologica.
Il punto che abbiamo osservato, il fatto che il fondamentalismo non rappresenti un autentico ritorno alla tradizione quanto un esempio di modernità reazionaria è della massima importanza, oggi, per impostare un rapporto corretto tra tradizione religiosa e modernità. In Europa non pochi intellettuali, rifiutando di distinguere accuratamente i fenomeni, confondono fondamentalismo e fede. Il risultato è che l’unica terapia adeguata per la “malattia” religiosa diviene l’ateismo o la compiuta laicizzazione della vita e del costume sociale. È quanto affermava Peter Sloterdijk nel suo Gottes Eifer. Vom Kampf der drei Monotheismes, edito nel 2007[4]. Qui è la fede monoteistica che è tacciata di intolleranza. Ebraismo, Cristianesimo, Islam sarebbero religioni totalizzanti e totalitarie, incapaci di dialogo e di confronto. Siamo con ciò di fronte a una dialettica tra fondamentalismo e secolarismo dalla quale non pare esserci via d’uscita. In maniera più intelligente e meno rozza Jacques Derrida riconduceva i conflitti geo-politici degli ultimi dieci anni allo scontro teologico-politico che ha diviso gli Usa (ad egemonia teocon) alleati di Israele e il fondamentalismo musulmano. «Ci sarebbe dunque il confronto tra due teologie politiche stranamente sorte da uno stesso ceppo o dal terreno comune di una rivelazione abramica»[5]. Per l’autore l’unica speranza è se ci sarà «in “Europa” o in una certa tradizione moderna dell’Europa, al prezzo di una decostruzione che sta ancora cercando la sua strada, la possibilità di un altro discorso e di un’altra politica, di un’uscita da questo doppio programma teologico-politico»[6].
Raccogliendo la provocazione di Derrida potremmo dire che questa “uscita” richiede – ed è la strada indicata da Riccardo Cristiano assumendo a modello la figura di papa Francesco – proprio il dialogo interreligioso tra le religioni di Abramo. Questo trova un importante punto di consenso nella critica che, a partire dalla loro fede, cristiani, ebrei e musulmani muovono a quello che Seyla Benhabib chiama «il ritorno della teologia politica»[7] . Un ritorno che, da un lato, si esprime in un fideismo irrazionale che rende evanescenti le differenze tra i vari modelli comunicativi del fondamentalismo religioso e, dall’altro, crea una situazione di conflittualità continua con l’autorità dello Stato-nazione e con gli appartenenti delle altre comunità religiose. Di qui la teorizzazione di uno stato di guerra permanente. Porsi al di là del conflitto implica, dal punto di vista religioso, il superamento della dialettica tra fondamentalismo e secolarizzazione e il ritrovamento di un giusto rapporto fra tradizione e modernità. È questo un compito culturale imprescindibile, fuori del quale non rimane che lo “scontro di civiltà” pronosticato da Samuel Huntington nel suo The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order del 1996 e praticato da Osama Bin Laden. La modernità occidentale presenta punti positivi e punti negativi. La sua realtà attuale è, in parte, il risultato dell’eredità cristiana, in parte l’esito della emancipazione e dell’opposizione a tale eredità. Questa opposizione ha assunto forme radicali – come nel modello di laicità di tipo francese o nel totalitarismo politico del Novecento – e forme più moderate. In questo secondo caso il modello di laicità non fuoriesce dall’orizzonte religioso, segnatamente cristiano, che ne è condizione di possibilità. Lo spazio pubblico moderno è il luogo di una declericalizzazione sorta non solo contro la Chiesa ma anche grazie al doppio registro dei regni, terreno e celeste, affermato dalla fede. Come ha scritto Marcel Gauchet, il cristianesimo è la «religione dell’uscita dalla religione»[8]. Questa relazione tra una fede non fondamentalista e una laicità “aperta” è, come mostra la riflessione di Jürgen Habermas, la questione odierna. Trasferita nei Paesi dell’Islam la questione assume il volto non di un rinnegamento della tradizione, come vorrebbe l’illuminismo radicale di tipo occidentalista, ma di una valorizzazione delle sue virtualità atte a incontrarsi con la parte autenticamente universale dell’illuminismo moderno. Nel far ciò il pensiero islamico è chiamato ad un’opera di storicizzazione analoga a quella svolta dal pensiero cattolico a partire dalla metà degli anni Trenta, grazie soprattutto a Jacques Maritain, opera che troverà poi la sua sintesi nel Concilio Vaticano II. Mediante essa veniva riconosciuto il valore della civiltà cristiana medievale senza, però, che ciò implicasse, come accadeva per molti cattolici, la sua elevazione a “modello” in antitesi al mondo moderno, ateo e secolarizzato. Questa “relativizzazione” rendeva possibile il riconoscimento di altre virtualità della fede che trovavano realizzazione proprio nell’età moderna. Tra queste il tema dei diritti naturali e della libertà religiosa. In modo analogo l’Islam è chiamato oggi a distinguere la fede dal suo passato storico, riconoscendo in esso pregi e difetti. La civiltà islamica, come ha scritto l’ex presidente iraniano Kathami:
è stata fondata sul Corano, ma secondo deduzioni e metodi interpretativi che l’uomo di quei giorni elaborava riguardo al Corano, al libro, alla religione, all’essere umano, al mondo. Questa civiltà dei tempi d’oro è finita. Se essa fosse stata l’incarnazione piena della dottrina del Corano o dell’Islam, una simile affermazione ci indurrebbe a concludere che anche il Corano e l’Islam siano finiti[9].
Su questa linea troviamo una serie di autori riformisti che condividono «l’idea che si debba separare il messaggio coranico dalla sua concreta incarnazione in una storia e in un luogo determinati»[10]. Per questo indirizzo di pensiero
il potere non è più considerato il difensore dell’Islam, bensì l’origine della sua fossilizzazione, nella misura in cui lo ha strumentalizzato per perpetuare l’ordine costituito: la democratizzazione va quindi di pari passo con l’apertura teologica. Il riformismo presuppone la separazione della politica dalla religione, non tanto per salvare la politica dalla religione (come in Francia), quanto per salvare la religione dalla politica, e ridare la libertà al teologo e al semplice cittadino[11].
Fuori da questa relativizzazione della figura del potere, ai fini della promozione della fede, e dalla storicizzazione dei suoi modelli storici rimane solo la nostalgia del tempo passato, la sua idealizzazione contrapposta alla decadenza dell’oggi. Una idealizzazione figlia dello “sradicamento” odierno. Donde la reazione fondamentalista, nutrita di “risentimento” verso l’avversario, interno o esterno, fatto responsabile della decadenza. Il nuovo manicheismo, erede del marxismo rivoluzionario, volge il suo sguardo non all’utopia del futuro da realizzare ma alla “restaurazione” di un passato mitico mediante il collasso del mondo presente.
Al contrario della prospettiva manichea, che è “parassita” dell’avversario e non si alimenta senza un nemico, la fede religiosa autentica non teme di confrontarsi con il tempo storico, distinguendo in esso positivo e negativo. Questo spiega il confronto, aperto e serrato, che segna l’Islam contemporaneo, fra tradizionalismo e innovazione, un confronto, di cui in Europa si sa troppo poco e che il volume di Cristiano ha il pregio di restituirci[12]. Ciò spiega il realizzarsi di disposizioni legislative che abbandonano, di fatto, la poligamia, la correzione dei diritti ereditari delle donne, l’ampliamento dei diritti in materia di libertà religiosa. È un processo che, con significative battute d’arresto, è in pieno svolgimento. È questa la miglior confutazione di quanti affermano, in Occidente, l’opposizione ineluttabile tra tradizione religiosa e modernità. Il vero punto della questione, comunque, quello che permette il dialogo tra fede e mondo moderno, è il superamento della “teologia politica”. Era il problema che, negli anni Trenta del XX secolo, stava al centro del fondamentale lavoro di Erik Peterson, Der Monotheismus als politisches Problem, dedicato ad un serrato confronto tra la fede ebraico-cristiana e il Nazionalsocialismo[13]. Il problema, nel cambiamento dello scenario, non ha perso la sua attualità. Se l’ideologia cristiano-comunista degli anni Settanta e quella cristiano-occidentalista del post 2001 ha riproposto l’ambiguo connubio teologico-politico, esso ritorna nelle vesti dell’islamismo radicale, in quelle dell’ebraismo ultraortodosso il quale con la sua mitologia del “Grande Israele” contesta le radici stesse dello Stato ebraico nel suo aspetto secolare e democratico[14], in quelle dell’induismo identitario. Il confronto tra tradizione e modernità è qui salutare nella misura in cui consente di comprendere come il moderno sorga, in Europa, proprio dal superamento dell’assolutismo teologico medievale il cui frutto non era la “città di Dio” ma la sua mondanizzazione. Questo superamento, se da un lato è decisamente problematico nella misura in cui porta all’assolutizzazione dello Stato moderno, dall’altro, però, consente di recuperare la consapevolezza del rapporto tra fede e libertà. Una consapevolezza che trova nel Concilio Vaticano II la sua espressione compiuta. Il Vaticano II è un punto d’arrivo e, insieme, un punto d’equilibrio, che la Chiesa, dopo due secoli di polemiche, ha trovato con la modernità, fuori dell’antitesi tra reazione e mondanizzazione. È grazie all’opera del Concilio che il cattolicesimo ha potuto neutralizzare ogni possibile fondamentalismo “religioso”. Il Concilio neutralizza la teologia-politica e ciò consente di distinguere tra Chiesa e mondo, sacro e profano. Consente la Dignitatis humanae, la fondamentale dichiarazione sulla libertà religiosa, fondata sul fatto che la fede è opera della Grazia di Dio e non dell’azione dell’uomo. Dal Concilio muove anche l’apertura verso gli ebrei e verso gli islamici, con la dichiarazione Nostra Aetate. È una svolta, un approccio profondamente nuovo che rompe con una consuetudine secolare fatta di diffidenza e di ostilità. Giovanni Paolo II, con le sue storiche visite alla Sinagoga di Roma, il 13 aprile 1986, e alla Moschea degli Ommayadi a Damasco, il 6 maggio 2001, indica il punto di svolta. Da questo punto di vista la Common Word, sottoscritta da 138 alte personalità islamiche di tutto il mondo, costituisce, in ambito musulmano, una sorta di Nostra Aetate. Il mondo islamico sta avviando un processo di confronto con la modernità e di dialogo interreligioso analogo a quello che il cattolicesimo ha inaugurato con il Concilio Vaticano II. Un processo di portata incalcolabile, uno degli eventi più importanti del XXI secolo. Questo processo non sarebbe però possibile, come mostra bene Riccardo Cristiano, se non trovasse una sponda preziosa, essenziale, nella Chiesa cattolica. È il cattolicesimo romano, rappresentato attualmente da papa Francesco, che consente oggi l’emersione dell’anima liberale dell’Islam. Un sostegno non compreso da molti cattolici, che scambiano il dialogo con l’Islam come un sintomo di debolezza, e osteggiato fortemente dall’islamismo radicale che vorrebbe la guerra e non già il dialogo tra le religioni.
Un momento fondamentale di questo dialogo lo si è avuto con il viaggio del Papa in Egitto il 28-29 aprile 2017. Francesco ha intrapreso il suo viaggio, a tre settimane dalle stragi della Domenica delle Palme, a Tanta, a nord del Cairo, e ad Alessandria. Lo ha fatto perfettamente consapevole dei rischi per la sua incolumità. È stato ripagato da un’accoglienza calorosa, colma di gratitudine da parte dei cristiani copti ortodossi, cattolici, dagli stessi musulmani. L’incontro con il presidente Abdel Fattah al Sisi, il grande Imam di al Azhar Ahmed al Tayyib e il patriarca copto Tawadros, ha costituito un evento storico. Alla Conferenza internazionale sulla pace, promossa dall’Università islamica di Al-Azhar, il Papa ha parlato con forza contro la legittimazione della violenza da parte della religione.
Egli – ha affermato Francesco – è Dio di pace, Dio salam. Perciò solo la pace è santa e nessuna violenza può essere perpetrata in nome di Dio, perché profanerebbe il suo Nome. Insieme, da questa terra d’incontro tra Cielo e terra, di alleanze tra le genti e tra i credenti, ripetiamo un “no” forte e chiaro ad ogni forma di violenza, vendetta e odio commessi in nome della religione o in nome di Dio. Insieme affermiamo l’incompatibilità tra violenza e fede, tra credere e odiare. Insieme dichiariamo la sacralità di ogni vita umana contro qualsiasi forma di violenza fisica, sociale, educativa o psicologica[15].
Collocate in terra d’Egitto queste parole, dette da un Papa che ha sempre distinto tra l’Islam e le sue patologie, sono risuonate come un sostegno a tutti coloro che, nel mondo musulmano, non si riconoscono nella brutalità del terrorismo religioso. Un sostegno in particolare all’imam al-Tayyib e al suo sforzo di purificare, anche sul terreno dell’educazione, l’islam dalle sue deviazioni. In febbraio, prima del viaggio papale, l’Università di Al-Azhar aveva pubblicato una Dichiarazione sulla cittadinanza e la coesistenza, un documento di grandissima importanza in cui si dissociano, per la prima volta, i diritti di cittadinanza, eguali per tutti, dall’appartenenza religiosa[16]. Secondo l’agenzia «Fides»:
A esporre i contenuti e fornire la chiave interpretativa della “Dichiarazione” è stato lo stesso Sheikh Ahmed al Tayyib, Grande Imam di Al Azhar, che in qualità di “padrone di casa”, in un articolato intervento finale, ha richiamato la necessità di applicare i principi di cittadinanza, uguaglianza e Stato di diritto per contrastare discriminazioni e maltrattamenti subiti dalle minoranze. Il Grande Imam ha respinto le pratiche sociali e giuridiche che configurano “doppi standard”, discriminando i cittadini sulla base della loro appartenenza o meno all’islam. Al Tayyib, nell’intervento reso noto all’Agenzia Fides, ha anche ribadito l’incompatibilità tra l’autentico islam e gli atti persecutori nei confronti dei credenti non musulmani, rimarcando però che la difesa delle libertà dei cittadini è compito riservato agli Stati nazionali, e nessuna entità, religiosa o di altra natura, deve pretendere di interferire con i legittimi governi nazionali su questo terreno[17]
Il documento del Cairo segue quello, altrettanto importante, degli ulema del Marocco, sull’apostasia, nel quale viene riconosciuta la libertà di cambiare fede religiosa senza incorrere in pene di carattere civile[18].
Il mondo islamico, percosso dalla violenza del fondamentalismo islamista, è in movimento. Il viaggio del Papa in Egitto aveva certamente tra i suoi scopi quello di sostenere questo “movimento”, di incoraggiarlo al fine di ritrovare il volto del Dio della misericordia, l’unico che consente l’incontro, il dialogo, il rispetto tra tutte le comunità religiose, senza alcun sincretismo. Allo stesso modo il Papa pellegrino ha voluto sostenere la Chiesa copto-ortodossa, vittima degli attacchi e delle persecuzioni. In modo particolare dopo la defenestrazione dei Fratelli musulmani dell’ex presidente Morsi. Il suo sostegno si colloca dentro l’«Ecumenismo del sangue» che, dopo secoli di distanze, viene ora abbattendo i muri di indifferenza che separavano i copti ortodossi dai cattolici. Come ha detto Francesco:
Quanti martiri in questa terra, fin dai primi secoli del Cristianesimo, hanno vissuto la fede eroicamente e fino in fondo versando il sangue piuttosto che rinnegare il Signore e cedere alle lusinghe del male o anche solo alla tentazione di rispondere con il male al male. Ben lo testimonia il venerabile Martirologio della Chiesa Copta. Ancora recentemente, purtroppo, il sangue innocente di fedeli inermi ci unisce[19].
Questa comunione spirituale ha raggiunto un traguardo importante anche se non semplice nella sua applicazione. Francesco e Tawadros II hanno firmato una dichiarazione congiunta che riconosce un unico battesimo per le due Chiese e impegna a superare l’usanza, invalsa nella Chiesa copta dei tempi moderni, di ribattezzare coloro che provenivano dal cattolicesimo[20]. La via dell’unione fraterna è così realmente tracciata. In tal modo il viaggio di Francesco ha aperto lo sguardo del mondo su un modello possibile di coesistenza amichevole tra musulmani e cristiani e sulla comunione tra cattolici e ortodossi. Una sorta di miracolo che ha preso piede in una terra, l’Egitto, che rappresenta da sempre un faro di civiltà per il mondo islamico e un esempio, tra luci ed ombre, di un riconoscimento fecondo tra musulmani e cristiani[21].
[1] Su Qutb si cfr. O. CARRE, Mystique et Politique. Lecture révolutionnaire du Coran par Sayyed Qutb, Cerf, Paris 1984; A. MOUSSALLI, Radical Islamic Fundamentalism: The Ideological and Political Discourse of Sayyed Qutb, Syracuse University Press, New York 1993.
[2] Cit. in K. FOUAD ALLAM, L’Islam globale, Rizzoli, Milano 2002, p. 79.
[3] O. ROY, L’aquilone vietato e il sequestro di Aldo Moro, «Oasis», 3 (2006), pp. 33-35; Id., Islam alla sfida della laicità, Marsilio, Venezia 2008.
[4] P. SLOTERDIJK, Il furore di Dio. Sul conflitto dei tre monoteismi, Raffaello Cortina, Milano 2008.
[5] J. DERRIDA, Autoimmunità, suicidi reali e simbolici. Un dialogo con Jacques Derrida, in G. BORRADORI Filosofia del terrore. Dialoghi con Jürgen Habermas – Jacques Derrida, Laterza, Bari 2003, p. 126
[6] Ivi.
[7] S. BENHAIBIB, Una nuova teologia politica sul Bosforo, «Reset», 109, settembre-ottobre 2008, pp. 56-61
[8] M. GAUCHET, Il disincanto del mondo: una storia politica della religione, Einaudi, Torino 1992.
[9] M. KATHAMI, Religione, libertà e democrazia, Laterza, Bari 1999, p. 99.
[10] O. ROY, Islam alla sfida della laicità, cit., p. 78. Per una presentazione di questi autori cfr. R. BENZINE, I nuovi pensatori dell’Islam, Pisani, Frosinone 2004.
[11] O. ROY, Islam alla sfida della laicità, cit., p. 79.
[12] Cfr. P. BRANCA, Un Islam, molte voci, «Oasis», 3 (2006), pp. 39-43.
[13] E. PETERSON, Il monoteismo come problema politico, Queriniana, Brescia 1983. Sull’argomento si cfr. M. BORGHESI, Critica della teologia politica. Da Agostino a Peterson: la fine dell’era costantiniana, Marietti, Genova-Milano 2013.
[14] A. RAVITZKY, La fine svelata e lo Stato degli ebrei. Messianismo, sionismo e radicalismo religioso in Israele,Marietti, Genova-Milano 2007.
[15] Discorso del Santo Padre ai partecipanti alla conferenza internazionale per la pace, Al-Azhar Conference Center, Il Cairo, 28-04-2017, in www.vatican.va
[16] Cfr. Libertà e cittadinanza secondo Al-Azhar, www.oasiscenter.eu/it (07-04-2017).
[17] La “Dichiarazione di al Azhar” rilancia anche per il mondo islamico il “principio di cittadinanza”, http://www.fides.org/it (02-03-2017).
[18] Testo della dichiarazione degli ulema marocchini sull’apostasia, «Oasis» (16-04-2017), www.oasiscenter.eu/it
[19] PAPA FRANCESCO, Visita di cortesia a S.S. papa Tawadros II, Patriarcato copto-ortodosso, Il Cairo, 28-04-2017, in /www.vatican.va
[20] Dichiarazione congiunta firmata da Papa Francesco e Tawadros II, Il Cairo (28-04-2017), https://it.zenit.org/
[21] Sui problemi che permangono dopo la visita del papa interessante è l’intervista, del 2021, del vescovo cattolico copto Kyrillos Samaan di Assiut Cristiani in Egitto: Molta luce, ma ci sono ancora ombre, https://aiuto-chiesa-che-soffre.ch (26-08-2021).