Tantardini con Benedetto e Péguy, la vita cristiana è trasfigurazione continua

Aniello Landi ha proposto su IlSussidiario.net un ricordo di don Giacomo Tantardini, in occasione dell’uscita del volume sulle sue omelie. Lo ripropongo qui.

IlSussidiario.net. venerdì 5 luglio, Letture/ Tantardini con Benedetto e Péguy, la vita cristiana è trasfigurazione continua (Aniello Landi)

Il ricordo vivo di don Giacomo Tantardini (1946-2012) può appoggiarsi oggi alla pubblicazione delle sue omelie. La vita cristiana come trasfigurazione continua

Eravamo in piazza san Pietro il 13 marzo 2013. Quando il cardinale Tauran pronunciò il nome del nuovo Papa …. Georgium Marium … Cardinalem Bergoglio … il nostro fu un istantaneo urlo di gioia. Del cardinale sapevamo poche cose essenziali: l’amicizia con don Giacomo; il suo articolo sull’ultimo numero della rivista 30Giorni in memoria del sacerdote amico, “l’uomo bambino”, che noi rincorrevamo per ascoltarlo sin dagli anni dell’università.

Preziosa l’iniziativa di pubblicare le sue omelie, a cura del prof. Massimo Borghesi e la prefazione di Papa Francesco: È bello lasciarsi andare tra le braccia del Figlio di Dio (Libreria Editrice Vaticana, 2024). Quanti frammenti di omelie sono registrate nel nostro cuore. Quella impetuosa in san Pietro quando, noi giovanissimi, citò il giudizio di Olivier Clément sul cristianesimo in Occidente ridotto ad “un pietismo impaurito della vita, privo di qualsiasi dinamismo di trasfigurazione”. O quella nell’Abbazia di Casamari: “Gli strumenti del lavoro per san Benedetto sacri come il calice sull’altare”.

Così, abbiamo cominciato a vedere e sperimentare nell’opera quotidiana, attraverso il lavoro, un cristianesimo non impaurito della vita: un gusto, una passione, un amore alle cose e alle persone, una capacità di sacrificio, di abnegazione, di durata, di gratuità, quasi risentendo l’eco delle letture di Péguy: “C’era un tempo in cui abbiamo visto impagliare seggiole con lo stesso gusto con cui si costruivano le cattedrali”. Come ci ha insegnato don Giussani: “Il lavoro è il supremo avvenimento umano dove l’ideale o il destino, confusamente o chiaramente intuito o presentito, spinge, con la sua attrattiva, a manipolare la realtà per trascinarla con sé verso lo scopo a cui tutto il cuore dell’uomo tende”.

Ci appassiona l’esperienza cristiana in quanto “dinamismo di trasfigurazione”: non come progetto politico-utopistico, bensì come sguardo che fa nuove tutte le cose, intravedendo, sempre, in ogni circostanza, il punto di lavoro e di costruzione. “La bellezza suscita ammirazione, l’ammirazione porta al lavoro, il lavoro è per risorgere”: i versi di Norwid cari a Giovanni Paolo II. “E noi sappiamo il nome di questa Bellezza”, commentava don Giussani. “Si faceva chiamare Gesù”. Il nome caro: “Jesu dulcis memoria”. “Quello che abbiamo di più caro”, per sovrabbondanza di attrattiva, ora. “L’attrattiva Gesù”: nel presente una intensità di vita e di lavoro come albore della Resurrezione, che trasfigura, secondo un di più di umano, l’uomo e la storia.

“Come è stupefacente, anche da un punto di vista umano, e come è cattolico, anche da un punto di vista teologico, che ogni gesto buono, ogni opera buona sorga e fiorisca sempre da una cosa che sembra come un niente quale è un’attrattiva …” (don Giacomo Tantardini, Cenni di amicizia spirituale, 30Giorni, n. 5, 2005). Perciò, “Nulla anteporre all’amore di Cristo”, secondo la raccomandazione di san Benedetto ai suoi amici. Nulla anteporre alla Sua attrattiva da cui scaturì quella indomita capacità di creazione che, nelle e tra le macerie dell’Impero Romano, rese possibile la costruzione di una realtà sociale nuova. “Così si comprende perché san Benedetto inscriva il “non anteporre nulla all’amore di Cristo” “tra gli strumenti delle opere buone” (Regola, capitolo IV: Quae sunt instrumenta bonorum operum).

Con piacere veniva a Salerno ad incontrare noi suoi giovani amici (“una realtà bella, vivace, libera”), ma veniva anche in incognito per pregare nella Cripta della Cattedrale, sulle spoglie di san Matteo, il pubblicano che si mosse alla sequela di Gesù per l’attrattiva del Suo Sguardo. Per le cose belle che il Signore fa accadere nella vita, ci accadde di sorprenderlo lì. Era bello guardarlo pregare! È una icona che portiamo nel cuore, specialmente oggi che un suo amico ci rende attuale e vivente l’incontro tra Zaccheo e Gesù nella descrizione, cara a don Giacomo e al cardinale Bergoglio, fatta da sant’Agostino: “Visus est et vidit”. Proprio la descrizione e lo Sguardo stesso che affascinava Giacomo, l’uomo bambino.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *