«È bello lasciarsi andare tra le braccia del Figlio di Dio» presentato a Palermo

Il 17 ottobre 2025, a Palermo, ho avuto l’occasione di presentare il volume «È bello lasciarsi andare tra le braccia del Figlio di Dio». Omelie a San Lorenzo fuori le mura (2007–2012), che raccoglie le predicazioni di don Giacomo Tantardini negli ultimi anni della sua vita terrena. È stato un momento prezioso per ripercorrere insieme la figura e l’eredità spirituale di un sacerdote che ha segnato profondamente la vita ecclesiale italiana e non solo.

All’incontro sono intervenuti don Antonio Mancuso, Rettore del Seminario Arcivescovile di Palermo, e don Francesco Di Maggio, Rettore del Seminario Arcivescovile di Monreale, sotto la moderazione della giornalista Maria Gabriella Ricotta. Entrambi i relatori hanno offerto letture personali e acute della spiritualità e del metodo pastorale di don Giacomo.

Un cristianesimo che nasce da un avvenimento

Nel mio intervento ho sottolineato ciò che considero il nucleo vivo della testimonianza di don Giacomo: la certezza che la fede cristiana non prende avvio da uno sforzo umano, né da un’elaborazione intellettuale, ma da un avvenimento che sorprende e raggiunge l’uomo.

Don Tantardini ha sempre insistito sul primato della grazia — un tratto profondamente agostiniano e, nello stesso tempo, in totale consonanza con l’esperienza educativa di don Luigi Giussani. Il cristianesimo, per lui, non è un sistema morale né un’identità culturale preconfezionata, ma l’incontro concreto con la presenza viva di Cristo nella Chiesa.

L’abbraccio della grazia

Riprendendo alcune osservazioni particolarmente felici di don Antonio Mancuso, ho evidenziato come il tema dell’“abbraccio” attraversi le omelie di don Giacomo. Non si tratta di una metafora emotiva, bensì di un concetto teologico ed esistenziale: Cristo prende l’iniziativa, abbraccia la nostra povertà e genera in noi una libertà nuova, capace di opere buone proprio perché sostenuta dalla grazia.

Questo linguaggio essenziale, ripetitivo nel senso più alto del termine — alla maniera di Charles Péguy — non è semplificazione, ma profondità resa accessibile.

Lo stupore cristiano come criterio

Don Francesco Di Maggio ha richiamato un tratto decisivo: lo stupore come dimensione costitutiva della fede. Don Giacomo non ha mai smesso di meravigliarsi davanti all’agire di Dio. È questo che il cardinale Jorge Mario Bergoglio — all’epoca Arcivescovo di Buenos Aires — riconobbe in lui, definendolo «l’uomo dello stupore». Tale stupore non è infantilismo religioso, ma maturità teologale: la capacità di lasciarsi continuamente generare dalla grazia.

Contro il rischio della gnosi

Ho anche ricordato un’intuizione profetica di don Giacomo: il rischio di una nuova deriva gnostica nella vita ecclesiale. Se gli anni dell’attivismo pelagiano sono stati segnati da moralismo e volontarismo, oggi si affaccia un pericolo opposto: una fede che si rifugia nell’astrazione, in un linguaggio spirituale disincarnato, incapace di riconoscere l’irruzione reale dell’evento cristiano nella storia.

Per don Giacomo, la distinzione classica tra natura e grazia va preservata: la natura non genera la grazia, la attende. Solo la grazia, accolta, compie il cuore dell’uomo.

Una lezione attuale

L’incontro di Palermo ha confermato, ancora una volta, quanto don Tantardini possa parlare al presente della Chiesa. Le sue omelie sono brevi, essenziali, radicate nell’esperienza reale. Sono un invito a ritornare al cuore del cristianesimo: Cristo presente e operante oggi.

Chi desidera riascoltare quel timbro limpido, così umano e così teologicamente denso, troverà in queste pagine non solo memoria, ma alimento.

Di seguito, il video completo dell’incontro.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *