Vi segnalo un mio intervento del 2015 a The voice, il podcast del Centro Culturale di Milano, ripubblicato in questi giorni per ricordare la figura di Pier Paolo Pasolini a 50 anni dalla sua tragica scomparsa. Il titolo che fu scelto allora è “La profezia di Pasolini sul ’68; rivoluzione borghese e l’avvento del nuovo individualismo di massa”. Il mio intervento coincideva con la mostra promossa dal Centro Culturale di Milano con il titolo “Pasolini, il poeta che sfidò il nulla” – per l’anniversario della morte violenta del grande intellettuale.
Nell’immagine: il manifesto intitolato “Pier Paolo Pasolini” realizzato da Ernest Pignon‑Ernest, artista francese, e risalente al 2015. Raffigura Pasolini in una postura che richiama la «Pietà»: egli stesso regge il proprio corpo ormai senza vita.
Qui il podcast
E qui la trascrizione del podcast.
Buongiorno, buonasera e, perché no, buonanotte. Questo è The Voice, il podcast di Punto.com, la rivista di riflessione e approfondimenti del Centro Culturale di Milano. Buon ascolto.
Enzo Manes
Pier Paolo Pasolini è stato un grande interprete del periodo storico che ha vissuto. Vi è entrato, come si dice, mani e piedi, dentro i veloci mutamenti e dentro i processi antropologici di quell’epoca, non di rado anticipandone gli esiti, quasi sempre nefasti. Lo ha fatto con ragionamenti coraggiosi e fuori dal coro, davvero da intellettuale, come pochi lo sono stati nel secolo scorso e come pochi lo sono in questo primo quarto del ventunesimo secolo.
Io sono Enzo Manes e questo è The Voice, il podcast di Punto.com, la rivista di approfondimenti del Centro Culturale di Milano. Conoscere e confrontarsi con il pensiero di Pasolini è sempre un’esperienza sfidante, un’occasione per coglierne la genuina e scomoda profondità.
Nel novembre del 2015, nel quarantennale della morte violenta del grande poeta, romanziere e regista cinematografico, il Centro Culturale di Milano promosse una mostra intitolata Pasolini, il poeta che sfidò il nulla.
In quell’occasione si diede voce a studiosi e personalità della cultura. Tra loro, il filosofo e docente universitario Massimo Borghesi.
In questo frammento sonoro, Borghesi pone in risalto alcuni temi fondamentali del cammino intellettuale di Pasolini: i suoi affondi contro la deriva del progressismo, per lui tutto fuorché progresso; l’individuazione del ’68 come rivoluzione di stampo borghese, che ha aperto la strada all’affermazione dell’individualismo, di un nuovo individualismo di massa, fino a produrre un uomo non più legato ad alcuna radice.
Non sottomettersi a tale rovescio, per Pasolini, voleva dire essere progressisti in modo nuovo: operare per collocare sulla scena il volto di un uomo illuminista che non tagliava il ponte con le radici popolari, con la tradizione. Per lui era chiaro che l’antico non è sinonimo di reazionario.
Il nuovo illuminismo pasoliniano aveva come perno il senso del sacro, la sacralità della vita. Dissiparlo nel nome di un falso progresso, tutto mercato e consumismo, significava sfigurare l’umano e azzoppare la natura del sentirsi comunità, del sentirsi popolo.
Ascoltare le parole chiare e ricche di spunti di Massimo Borghesi assume quindi il valore di un prezioso contributo per accostare passaggi cardine dell’impegno umano e civile dell’autore de Le ceneri di Gramsci e degli Scritti corsari, e per apprezzarne la statura intellettuale e il coraggio nel porsi di traverso al dilagare ostinato e disumanizzante del conformismo.
Buon ascolto.
Massimo Borghesi
Sicuramente Pasolini è un intellettuale, un grande intellettuale, come pochi in Italia nel corso del Novecento. La categoria di intellettuale appartiene ai grandi interpreti del periodo storico. Chi è il grande intellettuale? Colui che ti offre uno scenario della storia, che ti dà le categorie per interpretare i cambiamenti del processo storico.
Noi non siamo più abituati a questo, perché non abbiamo più grandi intellettuali nel panorama contemporaneo. Ma se riandiamo al Novecento troviamo figure come Benedetto Croce, Antonio Gramsci, Norberto Bobbio, Augusto Del Noce e Giovanni Testori. Ebbene, Pasolini è sicuramente tra questi.
Io vorrei dire che, da un certo punto di vista, è il Marcuse italiano. Tutti conoscevano Herbert Marcuse – forse oggi un po’ meno – ma la mia generazione lo ha ben conosciuto: pensatore ebreo, esule dalla Germania negli Stati Uniti, teorico del Sessantotto. La generazione della contestazione trovò in lui il proprio profeta. Marcuse teorizzava la connessione tra tolleranza e repressione: la tolleranza democratica come falsa tolleranza, modalità sottile con cui il potere reprime.
Marcuse parlava dell’«uomo a una dimensione», ridotto a uomo economico. Tutti temi che noi, in realtà, abbiamo ricevuto più attraverso Pasolini che attraverso Marcuse. Per questo dico che Pasolini è il Marcuse italiano, meno noto nel mondo ma dal mio punto di vista più intelligente.
E qui veniamo al rapporto tra tradizione e progresso in Pasolini. Egli capisce che il progressismo – per come veniva usato negli anni Sessanta e Settanta – è un’ideologia, e per giunta funzionale alla nuova destra tecnocratica. Pasolini intuisce che la sinistra che sta nascendo nel ’68 non è più la sinistra marxista o comunista di un tempo, ma una sinistra borghese che si afferma proprio attraverso il ’68. Un progressismo che veicola l’ingresso in una nuova forma di potere.
L’antifascismo inteso come progressismo, cioè come lotta alla reazione, per Pasolini non era più alternativa democratica, ma il modo con cui si realizzava un nuovo fascismo. Questa è l’intelligenza di Pasolini sul passaggio tra anni Sessanta e Settanta: vede nascere una nuova ideologia apparentemente progressista ma funzionale a un nuovo potere di destra.
A differenza di Marcuse, che è infatuato della contestazione giovanile, Pasolini è totalmente disincantato. Capisce che il ’68 è rivolta della borghesia, non del proletariato: non trovi un operaio nella rivolta del ’68. È una rivolta degli studenti, dei figli della buona borghesia delle città.
E qual è il messaggio del ’68? Un nuovo individualismo di massa. Serve ad abbandonare – contestare, distruggere – i vecchi valori cristiano-borghesi del dopoguerra, e così crea l’uomo a una dimensione: senza radici, senza legami, contro famiglia ed elementi comunitari. Favorisce un individualismo di massa egoistico e solipsistico, trionfo della società borghese allo stato puro.
È attraverso la contestazione del ’68 che si realizza l’esatto contrario di ciò che i giovani volevano. E Pasolini ha l’intuizione: occorre essere progressisti in modo nuovo. Non possiamo continuare a essere progressisti come lo siamo stati finora, né antifascisti come finora. Non per diventare fascisti, tutt’altro. Ma perché il vecchio antifascismo assimilato al progressismo è un’arma spuntata o, meglio, funzionale al nuovo potere che si sta instaurando.
Pasolini auspicava un nuovo illuminismo che non tagliasse le radici popolari. Il progressismo tagliava radici, dichiarando tutto ciò che è antico come reazionario. Così si generava nichilismo. L’illuminismo assimilato al progressismo diventava distruzione dei legami e generava il non-senso, la solitudine, l’individualismo.
Mi permetto di leggere una pagina degli Scritti corsari, raccolta degli articoli pubblicati sul «Corriere della Sera» tra ’74 e ’75. In un articolo del 1° marzo 1975 intitolato Cuore Pasolini scrive:
«C’è il dovere di rimettere sempre in discussione la propria funzione, cioè i presupposti di illuminismo, di laicità e di razionalismo. Il potere non è più clerico-fascista, non è più repressivo. Il nuovo potere consumistico e permissivo si è valso delle nostre conquiste mentali per costruire la propria impalcatura di falso laicismo, di falso illuminismo, di falsa razionalità. Ha portato al limite massimo la sua unica possibile sacralità: la sacralità del consumo come rito e della merce come feticcio».
Manes
Il percorso di conoscenza del pensiero di Pasolini proposto dal filosofo Massimo Borghesi è dunque un invito a prendere confidenza con gli scritti di questo grande intellettuale. Non a caso, Borghesi ha chiuso leggendo un passaggio da Cuore, articolo apparso sul «Corriere della Sera» il 1° marzo 1975 e poi incluso negli Scritti corsari.
In quelle righe c’è il Pasolini irriducibile, appassionato dell’essenziale, del cuore della vita. Perché della vita aveva una concezione alta, vera, stupita, ancestrale: una concezione sacra. Un illuminista illuminato.