Camaldoli 2025. Papa Leone XIV e l’orizzonte della “complexio oppositorum”

Venerdì 7 novembre ho partecipato a Camaldoli al convegno annuale della rivista Il Regno dedicato a «Cristianesimo e coscienza dell’Europa». Dal 6 al 9 novembre si è svolto infatti il sesto incontro dei «Percorsi di cultura politica», promosso dalla rivista Il Regno insieme alla Comunità monastica di Camaldoli e alla COMECE. Nelle diverse sessioni sono intervenuti, tra gli altri, Andrea Graziosi, Anna Foa, Olivier Roy, Antonio Di Bella, Pierre Gisel, Hans-Christoph Askani, Gianfranco Brunelli, Marco Buti e il cardinale Matteo Zuppi.

La giornata di venerdì prevedeva due sessioni principali. Al mattino sono intervenuti Anna Foa, con una relazione su «Parole in guerra» dedicata ai nodi dell’antisemitismo e del dibattito contemporaneo sul Medio Oriente, e Olivier Roy, che ha affrontato il tema «Realtà e visioni dell’islam dopo la guerra in Iran». Nel pomeriggio la terza sessione ha riunito Antonio Di Bella, impegnato in una riflessione sul rapporto tra forza, politica e scenari americani («Possiamo sopravvivere a Trump?»), e poi il sottoscritto insieme a Daniele Menozzi, nella sessione dedicata a «Leone XIV – La visione geo-religiosa di un papa americano».

È in questo contesto articolato e ricco di contributi che si è inserito il nostro dialogo, volto a delineare lo sguardo del nuovo pontefice e la sua collocazione dentro la storia recente della Chiesa.

Oltre le letture dicotomiche

Come ha riportato AgenSIR, ho cercato di mostrare come a guidare molte analisi su Leone XIV siano state aspettative non realistiche: l’idea che avrebbe segnato fin da subito un distacco netto da papa Francesco. Di fronte al fatto che la realtà non ha confermato questa narrativa, alcuni hanno iniziato a proporre una lettura artificiale del nuovo pontificato, costruita su dicotomie semplificate: continuità/discontinuità, apertura/rigore, rottura/fedeltà. È un metodo che abbiamo già visto applicare ai pontefici precedenti e che rischia di oscurare il nucleo reale del magistero di Leone XIV. Ogni papa però si muove dentro una polarità, non dentro opposizioni manichee. È un concetto profondamente guardiniano, che Francesco ha spesso indicato e che Leone XIV conosce bene grazie alla sua formazione agostiniana.

La “complexio oppositorum” come chiave di lettura

Il Regno, nel suo resoconto, ha sintetizzato questo punto con chiarezza: Leone XIV si percepisce come papa della complexio oppositorum, capace di tenere insieme polarità che la cultura contemporanea tende a contrapporre. È qui, paradossalmente, che emerge una delle forme più significative della continuità con Francesco.

La prima esortazione apostolica del nuovo pontefice, Dilexi te, conferma questa linea: un testo centrato sull’amore per i poveri, sulla memoria della carità nella storia della Chiesa, e su un approccio pastorale che non si colloca in contrasto con il magistero precedente, ma ne prosegue lo slancio con uno stile differente – più sobrio, più controllato, ma certamente non alternativo.

Nel mio intervento ho poi approfondito l’aspetto geo-religioso: come la sensibilità formata negli Stati Uniti – nel confronto con il pluralismo, il dibattito pubblico e il rapporto tra religione e democrazia – plasmi l’approccio di Leone XIV, arricchendolo poi non solo pastoralmente ma come sguardo sul mondo contemporaneo con l’esperienza maturata in America Latina, principalmente in Perù, dal 1985 alla fine degli anni ’90 e oltre, svolgendo attività missionarie, pastorali e di formazione. Questa esperienza gli ha dato una profonda conoscenza delle realtà sociali e spirituali locali, oltre a una forte connessione con le comunità povere e disagiate. Nel contesto di una terra diversa dalla sua origine americana, Prevost ha imparato il valore della fede popolare vissuta nella semplicità e dell’accoglienza calorosa, elementi che hanno segnato il suo approccio pastorale. Ha affrontato tematiche sociali difficili come la corruzione, la povertà e la gestione delle emergenze, come durante la pandemia di Covid-19, organizzando aiuti materiali e morali per la popolazione. In sintesi, il lungo periodo vissuto in America Latina ha arricchito Prevost sia umanamente che spiritualmente, rendendolo capace di integrare fede, impegno sociale e sensibilità verso i problemi reali delle persone.

Menozzi ha invece posto l’attenzione sulle modalità con cui Leone XIV, finora e in assenza di un documento d’indirizzo complessivo, ha preso posizione sui temi della politica internazionale. Il punto di partenza è l’eredità del concilio Vaticano II e del discorso di Paolo VI alle Nazioni Unite del 1965, che impegnavano la Santa Sede a promuovere la soluzione pacifica delle controversie e la tutela dei diritti umani. I pontificati successivi, pur con sfumature diverse, hanno proseguito lungo questa linea. Con papa Francesco, e oggi con Leone XIV, lo scenario globale però è profondamente cambiato: crisi accentuata dell’ONU, indebolimento del multilateralismo, prevalere della logica della forza e degli interessi di parte.

Il Regno, nella sua sintesi, ha definito il pontefice un «papa americano» in senso ampio: una figura che unisce in sé, per storia personale e per sensibilità culturale, le due Americhe — quella del Nord, dove è nato, e quella del Sud, dove ha operato a lungo.

Un pontefice tra continuità e stile personale

In una video-intervista ad AgenSIR, a conclusione del convegno, ho cercato di esprimere il punto essenziale: la continuità tra Francesco e Leone XIV non è identità di temperamento, ma unità di visione. Cambia il linguaggio, cambia la postura comunicativa, ma l’orizzonte rimane lo stesso: una Chiesa chiamata a ricomporre le polarizzazioni, a uscire dai fronti contrapposti e a ritrovare l’unità nella testimonianza del Vangelo.

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