Frangi: «Ambrogio, Agostino, Carlo Borromeo, la storia ambrosiana che arriva a don Giussani e a don Giacomo»

Vi propongo il commento di Giuseppe Frangi (nella foto), giornalista e presidente dell’Associazione Giovanni Testori, alla presentazione del volume di don Giacomo Tantardini «È bello lasciarsi andare tra le braccia del Figlio di Dio». Omelie a San Lorenzo fuori le mura (2007-2012), da me curato, che si è svolta a Lissone (LC) sabato 19 ottobre.

I relatori erano monsignor Sergio Ubbiali, docente di Teologia sistematica presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale e il sottoscritto. Moderatore Maurizio Crippa, vicedirettore de “Il Foglio”. La sede è l’auditorium della Parrocchia S. Maria Assunta di Lissone, la stessa dove don Giacomo Tantardini (1946-2012) fu viceparroco dal 1970 agli inizi del ‘72 prima di venire a Roma.

Qui il commento di Frangi.

«Veder balenare il volto sorridente di don Giacomo, sentire risuonare sue parole, ascoltare testimonianze semplici e luminose su di lui è cosa che riempie il cuore. L’occasione è stata a Lissone la presentazione del libro che raccoglie le omelie dell’ultimo periodo della sua vita a San Lorenzo Fuori le mura a Roma, curato con amore e precisione da Massimo Borghesi. Con lui sul palco don Sergio Ubbiali, teologo, che con Giacomo aveva condiviso l’esperienza fondativa del seminario di Venegono. E Maurizio Crippa a moderare. Ogni cosa ascoltata convergeva su un unico punto sostanziale: che la fede non è uno sforzo, né un’intenzione, ma è esito di un’attrattiva. Per questo, come diceva don Giacomo in un brano stupendo riletto da Borghesi, la raccomandazione di Gesù di essere agnelli in mezzo ai lupi, ripresa dal Vangelo di Luca, è raccomandazione sostanziale. È stupido atteggiarsi da lupi (vedi crociate o appelli alla militanza), come se il destino della fede dipendesse dal nostro impegno. Con buona pace di tutti, la cristianità è finita (i giudizi storici di Giacomo sono attuali e di un’intelligenza rara), e resta solo spazio per l’insorgere di un cristianesimo semplice che si affidi all’iniziativa di Gesù, alla sua tenerezza, e si faccia esperienza vissuta. Sergio Ubbiali ha spiegato come questo sia frutto di ciò che era maturato a Venegono, dove la riflessione teologica aveva aperto le porte all’importanza della verifica nell’esperienza. E questa è storia ambrosiana sull’asse Ambrogio-Agostino-Carlo Borromeo fino a Giussani che Giacomo aveva portato con sé a Roma, come parroco di borgata e come punto di riferimento per centinaia di studenti e di giovani sino a quel momento ignari di qualsiasi cosa riguardasse la chiesa. Tutti attirati e stupiti dalla sua fede una «fede non immaginaria» (Sant’Agostino su sua madre)».

 

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