Papa Francesco, nei suoi dodici anni di pontificato, ha perseguito una geopolitica caratterizzata da critica al neocapitalismo, dialogo con l’Islam moderato e costante impegno per la pace. Ha promosso il multilateralismo tra le potenze attraverso documenti come “Fratelli tutti” e ha mantenuto ferma opposizione ai conflitti in Ucraina e Medio Oriente, nonostante le critiche ricevute da più parti. Questi sono i temi di un mio articolo ospitato il 22 aprile da L’Altravoce. (Nella foto, il Grande Imam della moschea Istiqlal di Giacarta, Nasaruddin Umar, si china e bacia affettuosamente la fronte di Papa Francesco il 5 settembre 2024, durante il viaggio apostolico del Papa in Indonesia).
“L’Altravoce”, martedì 22 aprile, pag. XII, Neutralista perché convinto che la guerra si può evitare (Massimo Borghesi)
Allorché Jorge Mario Bergoglio sale al soglio di Pietro, il 13 marzo del 2013, 12 anni fa, il mondo era diviso tra l’occidentalismo dell’era della globalizzazione e la reazione islamista resa incandescente dall’abbattimento delle Torri gemelle a New York l’11 settembre 2001. Costituiva l’eredità della guerra contro l’Iraq, voluta dagli Usa di George Bush jr, cui seguirà una lunga serie di atti terroristici sul suolo europeo. Rispetto a questo quadro, reso ancora più inquieto dalle primavere arabe che destabilizzano l’Egitto di Mubarak e la Siria di Assad, la geopolitica di papa Francesco si muoveva su due versanti. Da un lato criticava, nella sua Esortazione apostolica Evangelii gaudium del 2013, gli esiti disumanizzanti del neocapitalismo trionfante nel mondo globalizzato.
Questa denuncia, senza sconti, delle false promesse di un mondo finanziario senza scrupoli attireranno sul Pontefice critiche molto dure da parte dell’establishment economico americano e segneranno l’avversione di una parte della Chiesa cattolica statunitense collocatasi su posizioni vicine a quelle dei pensatori teocon. Un’avversione motivata anche dalle aperture e dal dialogo della Chiesa con la Cina, posizione non gradita alla diplomazia di Washington. Su un altro versante il Pontefice si adopererà per togliere ogni tipo di legittimazione all’integralismo islamista. Da qui parte la ricerca di interlocutori e di sponde moderate nell’Islam, e questo in nome del Dio della misericordia contro l’immagine falsa del Dio della guerra. Un impegno fattivo, anch’esso molto criticato da coloro che auspicavano una lotta frontale con l’Islam, che trova il suo successo maggiore nello storico incontro al Cairo, il 28-29 aprile 2017, con il Grande Iman Al-Tayeb. Quell’abbraccio porrà le premesse per il documento di Abu Dhabi Fratellanza umana. Per una pace mondiale e la convivenza comune, siglato il 4 febbraio 2019. Il documento di Abu Dhabi manifestava la preoccupazione di fondo del Papa: quella del dialogo tra le religioni come strumento essenziale della pacificazione in un mondo segnato, come Francesco ha detto più volte, da «una terza guerra mondiale a pezzi».
Da questa visione sorge l’impegno costante per la pace che contrassegna tutta la storia del pontificato di Bergoglio. Un impegno portato avanti con coraggio, rischiando anche la propria vita. Come durante il viaggio in alcuni paesi africani (Kenya, Uganda, Centrafrica) nel novembre 2015. Oppure in quello, fortemente sconsigliato, in Iraq, dal 5 all’8 marzo 2021, con tappe a Baghdad, Najaf, Nassirya, Erbil, Mosul, Qaraqosh. Grande uomo di pace, disconosciuto come tale dagli smemorati giudici del Nobel, a Stoccolma, il Papa è riuscito, in taluni casi, a frenare la deriva bellica. Come nel caso del grande raduno di preghiera dei 100.000 in Piazza San Pietro, il 7 settembre 2013, che fornì l’assist al presidente Obama per scongiurare la guerra in Siria tra America e Russia con il rischio di un conflitto mondiale. Un conflitto rimandato e di fatto ripreso, dietro le quinte, attraverso la guerra tra Russia e Ucraina scatenata con l’aggressione russa del 24 febbraio 2022. In questo caso il Papa si è ritrovato solo nelle sue reiterate richieste di trovare soluzioni diplomatiche ad un conflitto che sembrava non averne. Proprio per questo, però, la sua voce, tacitata dai media, è risuonata più significativa che mai in un contesto che si è affidato, per una soluzione, alla sola forza delle armi.
Il no del Papa alla guerra, che ha risuonato sempre più forte negli ultimi anni, ha trovato il suo testo più significativo nella Enciclica Fratelli tutti, pubblicata il 3 ottobre 2020. È qui che Francesco, fortemente preoccupato per il deteriorarsi del quadro internazionale, ha manifestato il suo disegno geopolitico all’insegna del multilateralismo basato sull’equilibrio tra le grandi potenze. In un mondo sempre più turbolento Fratelli tutti risuonava come una nuova Pacem in terris, l’enciclica sulla pace pubblicata da Giovanni XXIII dopo la crisi dei missili a Cuba. Un documento profetico che non serviva, però, a scongiurare il conflitto russo-ucraino e, in tempi più recenti, quello tra Israele e Gaza. Da parte sua Francesco aveva tentato un avvicinamento con la Russia attraverso il dialogo ecumenico con la Chiesa ortodossa. Il 12 febbraio 2016, all’aeroporto “Jose Marti” dell’Havana, a Cuba, si era incontrato con il Patriarca di Mosca Kirill, lo stesso che, dopo il 2022 benedirà le truppe russe contro l’Ucraina.
In quel frangente Francesco stigmatizzerà con parole dure il comportamento servile del Patriarca e, nondimeno, si rifiuterà di consacrare la guerra nella sua versione occidentale. Al contrario affiderà Russia ed Ucraina al cuore immacolato di Maria, madre dei popoli cristiani. Una posizione, questa, che lo porterà, ancora una volta, ad essere oggetto di dure critiche. Accusato di essere “neutralista”, filo-putiniano, il Pontefice non ha arretrato di un millimetro nella sua ferma opposizione ad una guerra che poteva essere evitata e rispetto alla quale si potevano trovare soluzioni capaci di evitare un rinnovato conflitto tra Est e Ovest. Uno scontro che ha portato il mondo a due passi dalla terza guerra mondiale richiamata, più volte, da papa Francesco come un abisso senza ritorno.