La filosofia della pace di Romano Guardini

Lunedì 5 dicembre L’Osservatore Romano ha ospitato un mio contributo a sessant’anni dal conferimento del Premio Erasmus a Romano Guardini (nella foto mentre tiene una lezione universitaria). Lo ripropongo per la forte attualità del suo pensiero.

L’Osservatore Romano, 5 dicembre 2022, Contro il manicheismo teologico-politico. Quel filo rosso che lega Guardini e Buber (Massimo Borghesi)

C’è un aspetto del pensiero di Romano Guardini (1885-1968) che torna oggi straordinariamente attuale: la sua filosofia della pace. Esattamente quella che difetta oggi al pensiero cattolico contemporaneo che, in buona misura, appare subordinato al manicheismo teologico-politico tornato in auge in relazione al dramma della guerra tra Russia ed Ucraina.

A questa filosofia della pace Guardini ha offerto un contributo fondamentale con il suo volume del 1925, Der Gegensatz, dedicato all’opposizione polare. In esso la vita veniva compresa a partire da una serie di polarità opposte che devono mantenersi in tensione tra di loro senza degenerare in contraddizioni escludenti, manichee appunto. L’idea del cattolicesimo come coincidentia oppositorum veniva trasferita, dall’autore, sul piano antropologico, sociale, politico. Il risultato era un pensiero dialogico, con molte analogie con quello coevo di Martin Buber, per il quale la relazioni tra gli uomini e tra gli Stati obbedivano alla legge della coesistenza e del dialogo tra diversi. I pericoli da evitare erano l’uniformità, da un lato, e la contrapposizione frontale, dall’altro.

L’unità nella differenza era il metodo che Guardini suggeriva, nel 1925, all’Europa uscita dalla prima guerra mondiale. Un pensiero della pace che troverà il suo riconoscimento all’indomani della seconda guerra, quella del 1939-1945, quando il pensatore italo-tedesco riceverà nel 1952 il Premio alla Pace da parte dei Librai tedeschi. In quell’occasione dirà:

«Mi consentano di dire che l’attribuzione del Premio per la Pace mi ha dapprima sorpreso perché non ho scritto nulla sul problema della pace, a parte in alcune occasioni. Ma poi ho sentito che con questa onorificenza veniva toccato un motivo determinante per il mio lavoro. Mi ha sempre cioè occupato il problema: come mai possano affermarsi prese di posizioni così diverse degli uomini circa le questioni dell’esistenza e se non sia possibile di acquisire a tale diversità una forza costruttiva. Da queste riflessioni è nato a suo tempo un mio libro sulla “opposizione polare”, ed esse sono divenute importanti anche per i miei scritti di poi».

Nel suo discorso Guardini connetteva la filosofia della pace al suo lavoro del 1925. Al centro del suo testo v’era la fondamentale distinzione tra opposizione e contraddizione. Il lavoro di coloro che promuovono la pace sta nel mantenere le opposizioni in sospensione, nell’impedire che si passi dalla diversità alla contraddizione. Come ribadirà nel ‘52:

«Ciò che esiste è la diversità dei punti di vista; la dialettica di formulazioni le quali per principio sono rapportate a vicenda e che perciò stanno l’una rispetto all’altra non in contraddizione esclusiva ma in opposizione feconda. Allora io posso dire: “Anche tu vedi qualcosa di giusto”, e si rende possibile una sintesi. Ma non appena appare non l’opposizione ma la contraddizione, non appena l’uno dice sì dove l’altro deve dire no, o l’uno giudica buono ciò che l’altro riconosce cattivo, allora non è più possibile nessuna sintesi, bensì soltanto aut-aut, e questo si chiama lotta».

La distinzione, feconda, sarà ripresa da Papa Francesco il quale non a caso in Fratelli tutti, il suo manifesto per la pace, citerà largamente Guardini utilizzando la sua antropologia polare. Come afferma il Papa in Ritorniamo a sognare, la sua conversazione con Austen Ivereigh:

«Quello che vede le contrapposizioni come contraddizioni è un pensiero mediocre che ci allontana dalla realtà. Lo spirito cattivo – lo spirito di conflitto, che compromette il dialogo e la fraternità – cerca sempre di trasformare le contrapposizioni in contraddizioni, pretendendo che scegliamo e riducendo la realtà a semplici coppie di alternative. È questo che fanno le ideologie e i politici senza scrupoli».

Il manicheismo teologico-politico è l’ideologia che si oppone alla pace. Ad esso Guardini, e con lui Bergoglio, oppone il suo pensiero dialogico. Lo ribadisce, con una punta di orgoglio, nel 1967, l’anno prima della sua morte.

«Nella “Frankfurter Allgemeine Zeitung” – scrive – c’era un articolo del corrispondente dal Vaticano su un libro appena apparso del Prof. Guitton. Questi riassume il risultato di diversi colloqui con il papa Paolo VI e mostra il carattere spirituale e l’intenzione del Papa: non semplicemente governare, ma instaurare un dialogo con chi ogni volta rappresenta l’“altro”. L’essenza di questo procedimento consiste nel fatto che l’altro non appare come avversario, ma come “opposto”, e i due punti di vista, tesi e antitesi, vengono portati all’unità. Poi l’autore cita i nomi di personalità che sostengono lo stesso metodo, per la Germania cita il mio. Considerando l’importanza che oggi ha l’idea del dialogo, allora vede che è arrivato il momento giusto per il mio libro sull’Opposizione. L’abbiamo già detto anche esplicitamente. La teoria degli opposti è la teoria del confronto, che non avviene come lotta contro un nemico, ma come sintesi di una tensione feconda, cioè come costruzione dell’unità concreta».

Alla fine della sua vita Guardini proponeva il suo modello filosofico in antitesi a quello dialettico di Carl Schmitt fondato sull’antitesi tra amico e nemico. La filosofia della pace è un pensiero della mediazione che unifica i diversi mantenendoli nella loro differenza. Nel suo discorso del 28 aprile 1962, in occasione del Praemium Erasmianum ricevuto a Bruxelles, dal titolo Europa. Wirklichkeit und Aufgabe, Guardini assegnava all’Europa il compito di mediare tra i continenti e le potenze del mondo. L’Europa veniva indicata come il katechon, il potere che poteva frenare i deliri di onnipotenza che la tecnica moderna rendeva possibili. L’America, l’Asia, l’Africa, non apparivano in grado, per motivi diversi, di rivestire tale ruolo. All’Europa spettava il compito di promuovere la pace. «Essa ha avuto tempo per perdere le illusioni».

La sua storia è lunga, nel seno della sua cultura è germinato il sapere tecnico-scientifico, possibilità e rischi del medesimo sono stati da lei verificati in un modo tale che «all’Europa autentica è estraneo l’ottimismo assoluto, la fede nel progresso universale e necessario». Inoltre

«i valori del passato sono ancora in essa così viventi che le permettono di capire cosa sta in gioco. Essa ha già visto rovinare tanto di irrecuperabile; è stata colpevole di tante lunghe guerre omicide, da essere capace di sentire le possibilità creatrici, ma anche il rischio, anzi la tragedia dell’umana esistenza. Nella sua coscienza c’è certamente la forma mitica di Prometeo, che porta via il fuoco dall’Olimpo, ma anche quella di Icaro, le cui ali non resistono alla vicinanza del sole e che precipita giù. Conosce le irruzioni della conoscenza e della conquista, ma in fondo non crede né a garanzie per il cammino della storia né a utopie sull’universale felicità del mondo. Essa ne sa troppo».

1 pensiero su “La filosofia della pace di Romano Guardini”

  1. Articolo di Massimo prezioso come sempre, specie per le citazioni di Guardini che esprimono il pensiero polare in formule perfette, da mandare a memoria! E’ evidente che il pezzo di Massimo è stato pubblicato dall’osservatore romano alla luce di una guerra (in Ucraina) che sembra nn avere altra soluzione se non il … tragico! Ma ci sono altre piccole guerre analoghe, ad esempio quella che si è svolta oggi qui a Milano, con l’Ambrogino d’oro a don Luigi Giussani e a Cappato. La reazione di molti è stata di leggere nella decisione del sindaco Sala e della sua maggioranza una “contraddizione” insanabile tant’è che dei consiglieri al momento della consegna del premio a Cappato sono usciti. Nn solo ma sono scesi sul piede di guerra esponenti del Popolo della Famiglia e del Comitato del Family day che hanno letto tutto all’insegna della provocazione. Impossibilità di una sintesi per dirla con Guardini e quindi pura lotta. Hai voglia a pensare agli “opposti” pensando a chi a Giussani “avrebbe contrapposto” il piccolo- piccolissimo uomo Cappato: nessuna contrapposizione o giustapposizione ma inimicizia, altro che avversari ma negazione dell’altro. Come venirne fuori? Intanto riconoscere che assegnare a don Giussani il premio è stata cosa buona giusta e saggia e che l’alternativa di Cappato nn può sminuire di un cm il grande valore della scelta positiva di Giussani. Cappato è stato scelto come merce di scambio con cui il governo della città ch’è in mano più che alla sinistra di Sala a quella di Majorino & compagni ha voluto pareggiare il conto. A suo modo è stata una sintesi ma ideologica. Forse. Ma nn si può dire che sia stata una sintesi vera o un vero compromesso: sono rimasti non gli opposti ma i nemici. Nessuna mediazione tra la vita (,Giussani) e la morte( Cappato). Scelte incomparabili. Manicheismo ideologico. Nessun dialogo. Lotta dura e di potere? Come ora le posizioni di Putin e di Zelenskij. O no?

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