Il mensile di Città Nuova nel numero 9 del 2021 ha pubblicato un dossier a cura di Carlo Cefaloni dal titolo “Fraternità e guerra nel nuovo secolo”. Nel dossier c’è una mia intervista dal titolo “La guerra al tempo della teopolitica”. L’intervista integrale è in www.cittanuova.it. Ecco un estratto.
Città Nuova – mensile, settembre 2021, La guerra al tempo della teopolitica, intervista a Massimo Borghesi di Carlo Cefaloni
Come si può leggere ciò che è accaduto l’11 settembre 2001 a New York?
È il primo attacco nel suolo nordamericano dai tempi della guerra inglese contro i coloni del Nuovo Mondo. Lo shock è enorme ed è comprensibile. Il 2001 costituisce uno spartiacque della storia mondiale, segna l’affermarsi della teopolitica, dello scontro politico-religioso come guerra mondiale. Il cristianesimo, protestante e cattolico, diviene parte di una lotta planetaria. Esce di scena l’ecumenismo, irenico e ideologico, dell’era della globalizzazione post-comunista, a favore di una concezione militante, guerriera, della fede polarizzata dalla dialettica amico-nemico. Questa svolta riguarda da vicino anche la Chiesa. Gli intellettuali teocon, con Michael Novak, George Weigel, Richard Neuhaus, tentano sistematicamente di porre il cattolicesimo sotto l’ombrello Usa, di forgiare un americanismo cattolico incentrato sul cattocapitalismo e sull’occidentalismo. Ci riescono, in parte. Trovano però un ostacolo imprevisto nella strenua resistenza di Giovanni Paolo II contro la guerra in Iraq voluta ostinatamente dal presidente Bush. Dopo la battuta d’arresto, tentano di rilanciare il loro progetto egemonico sotto il pontificato di Benedetto XVI in nome della lotta al relativismo etico e della difesa dei valori dell’Occidente. In Italia gli “atei devoti”, da Giuliano Ferrara a Marcello Pera, diventano i leader di un mondo cattolico che non è più in grado, terminata la stagione democristiana, di esprimere una sua visione originale.
Cosa suscitano le immagini della ritirata delle truppe occidentali da Kabul?
Certamente grande delusione per il modo improvvisato e affrettato con cui è stata organizzata la ritirata. Non degno di una grande potenza come gli Usa. I teocon ne hanno approfittato per criticare Biden e per rilanciare la loro prospettiva, quella delle guerre occidentali finalizzate a creare regimi democratici nel mondo. Una prospettiva che suscita grandi speranze e poi, inevitabilmente, grandi delusioni. La gabbia che ora attende l’Afghanistan è uno spettacolo inguardabile. Così come è inguardabile la chiusura di taluni Paesi europei di fronte ai profughi. Un destino cupo attende migliaia di persone, di donne in particolare. La ruota della storia gira altrove, le montagne dell’Afghanistan non interessano più a nessuno. Solo l’Isis, qualora fosse tollerato dai talebani, potrebbe riportare l’attenzione su Kabul.