Il prodigioso mondo di Verónica dove le ombre creano vita

Il ladro di ombre, premio Elsa Morante, Veronica Cantero Burroni
La presidente della giuria Dacia Maraini con Veronica

di Massimo Borghesi. È la giovanissima Verónica Cantero Burroni la vincitrice del Premio Elsa Morante Ragazzi, che si è svolto lunedì 30 maggio a Napoli. Il suo libro “Il ladro di ombre”, edito in Italia dalle Edizioni di Pagina con l’introduzione di Massimo Borghesi, ha prevalso su due temibili concorrenti come “Il braccialetto”, di Lia Levi, edito da e/o e soprattutto “Il nome di Dio è misericordia”, edito dalla Piemme e scritto da Andrea Tornielli con Papa Francesco.

I tre libri erano stati scelti dalla giuria tecnica, presieduta da Dacia Maraini e composta da Silvia Calandrelli, Francesco Cevasco, Enzo Colimoro, Roberto Faenza, David Morante, Paolo Ruffini,  Emanuele Trevi, Maurizio Costanzo, Gianna Nannini, Tjuna Notarbartolo, e Teresa Triscari.

“Il ladro di ombre” è un lungo racconto che narra una vicenda surreale che avviene all’interno di un gruppo di adolescenti. Uno di loro ruba le ombre degli altri. Lo fa per necessità, e quando i suoi compagni lo scoprono, non scelgono di punirlo, ma lo aiutano a non aver più bisogno di rubare. Un piccolo libro luminoso, gioioso e generoso, con uno stile semplice, capace di far sentire realistico l’irreale.

Verónica Cantero Burroni è nata nella città argentina di Campana, ad una sessantina di chilometri da Buenos Aires, il 3 giugno 2002. È la sesta di sette figli. Il papà Gustavo è laureato in medicina e la mamma, Cecilia, in psicologia. Il parto fu trigemellare e Verónica ha sofferto un problema che ha generato un danno neurologico che affetta la parte motoria sua e degli altri due fratelli, Francisco, e in forma minore Lucia. Nessuna conseguenza sul piano intellettivo-cognitivo. Dall’età di 8 anni scrive e pubblica piccoli libri, cinque fino ad oggi. Quando ha saputo di aver vinto il premio Elsa Morante Ragazzi ha ritrovato tutta la sua tenacia ed ha ripreso la sua fisioterapia, per venire a ritirare questo riconoscimento dall’altro lato del mondo.

Vi proponiamo il testo dell’introduzione di Massimo Borghesi.


Il ladro di ombre, premio Elsa Morante, Veronica Cantero BurroniIL PRODIGIOSO MONDO DI VERÓNICA DOVE LE OMBRE CREANO VITA

Massimo Borghesi

 

E’ un privilegio introdurre il racconto di una ragazza che, dall’alto dei suoi 13 anni, conta già la pubblicazione di 5 piccoli volumi. Verónica Burroni Cantero, la cui fama sta crescendo in Argentina, ha scritto il suo primo romanzo, Tomás enamorado, a otto anni. Personalmente ho conosciuto lei e la sua splendida famiglia, nonni compresi, nella loro casa di Campana, un grosso centro a 70 chilometri da Buenos Aires, nel 2008. L’infermità fisica, contratta al momento della nascita, non ha tolto a Verónica – Vero per gli amici – l’arguzia, il bel sorriso, l’ironia. La stessa che gioca un ruolo predominante nei suoi racconti. Una sottile ironia che svela una capacità di osservazione rara, uno sguardo divertito che ha trovato precocemente un linguaggio narrativo appropriato grazie al suo “maestro di scrittura”, il giornalista Alver Metalli amico di lunga data della famiglia di Verónica. L’iniziazione alla scrittura ha dato i suoi frutti e l’autrice si è rivelata un’ottima discepola nell’imparare le tecniche di narrazione, i colpi di scena, le rapide pennellate di colore e di ambientazione, la caratterologia dei personaggi. Nel suo ultimo testo, che qui presentiamo per il lettore italiano, Verónica Burroni Cantero dimostra un’autentica vocazione per i libri per ragazzi. Ragazza lei stessa, riesce a dare volto e cuore ai suoi contemporanei schizzandone, velocemente, tratti e fisionomie in un racconto che si muove a metà strada tra fantasia e realtà. Il ladro di ombre è una spy story calata in un’atmosfera decisamente surreale, surrealistica, nella quale l’incrocio tra immaginazione e realtà è oggetto di continue sorprese. Verónica ha appreso dalla lettura di Gabriel García Márquez e, soprattutto dal suo maestro Metalli, anch’egli esperto narratore, non solo l’arte di guardare e descrivere le cose ma, soprattutto, quella del coup de théâtre, dell’insolito che scompagina il modo usuale di intendere il mondo. In questo caso il tema dell’insolito non è, in sé, totalmente originale. Il titolo, El ladrón de sombras, lo ritroviamo in un racconto per ragazzi pubblicato nel 1989 dall’autore catalano Jaime Cela, tradotto in castigliano nel 1990. Un testo che, quasi certamente, Vero non ha mai letto. Epperò lo svolgimento del tema è tutto della nostra narratrice, non ha nulla in comune con il libro di Cela. Rivela il “mondo” di Verónica: la scuola, gli amici, il modo di comunicare dei ragazzi d’oggi, la passione per il calcio, vitale in Argentina. E poi l’idea di fondo, il furto delle “ombre”,  collegata alla condizione di povertà di Roby Pérez, il campione sportivo che deve in qualche modo mantenere la famiglia, a colui  che non può permettersi di comperare, nel supermercato, il vasetto di “Nutella” di cui è goloso.  Una collocazione sociale che riporta il surreale nella dura realtà, quella che sorge dalla sensibilità del “maestro” Metalli il quale, per sua libera scelta, è andato da un anno ad abitare a “La Carcova”, una “villa miseria”, cioè una baraccopoli alla periferia di Buenos Aires dove P. Pepe di Paola, amico di papa Bergoglio, condivide la sorte dei poveri.  La scoperta della povertà del “ladro” è l’occasione del suo riscatto grazie alla presenza di amici, artefici dell’iniziativa a sorpresa nel finale del racconto.  Questa trama di amici, colorati come personaggi della commedia, è ciò che rende lieve il testo. In questa trama viene alfine accolto e raccolto anche colui che si era isolato: Roby Pérez. L’abbraccio finale al campione ritrovato, attraverso la sua ombra che gioca per lui, è la sintesi e il senso di una narrazione a lieto fine. Al centro v’è l’idea, originale e stravagante, del furto delle ombre. Verónica è qui maestra nel trattare un tema che funge da “spaesamento”. Lo fa con una maestria davvero insolita per una ragazza di 13 anni. Le ombre prendono vita, divengono autonome, disegnano un mondo parallelo. Costituiscono un de-realizzazione dell’ordinario, una sua trasfigurazione. Per questo tutto il breve racconto è guidato dalla “sorpresa”. Non solo del lettore ma anche dell’autrice del testo che scrive “guardando” ciò che accade davanti ai suoi occhi, guidando una scrittura che descrive le reazioni di fronte all’insolito che prende forma. Le ombre non solo prendono vita ma creano vita. Sono ombre cinesi che richiamano altri esseri. Maximo, il protagonista, durante l’ora di ginnastica a scuola, «spostava la gamba in alto e l’ombra sembrava il becco aperto d’un uccello, alzava il braccio e pareva la silhouette di una ballerina eretta sulla punta dei piedi, una sagoma, questa, che non gli piaceva, convinto com’era che la danza fosse cosa da ragazze. Máximo preferiva leggere, le avventure lo attraevano e divorava un libro dopo l’altro. Si divertiva proprio allo spettacolo della propria ombra che cambiava forma, un’ombra mutante. Stava creando dal niente un altro mondo! Sembrava il gioco delle ombre cinesi. Come un burattinaio cinese, Máximo si piegava in avanti e la sua ombra, adesso, prendeva la forma di un asinello. Un asino dalle zampe corte!».  L’ombra non solo disegna, chiama in vita, altri viventi. Essa, rendendosi autonoma con il “furto” di Roby Pérez, produce uno scambio delle parti: da copia diviene prototipo. Ora è il corpo che, se vuol essere perfetto, ammirato dalle ragazze, deve adeguarsi all’ombra (rubata) di un altro corpo, prestante e vigoroso.  Roby, nel tentativo di vendere la sua “merce”, chiede al suo cliente una intensa  cura ginnica  per “adeguarsi” alla sua nuova ombra. L’inversione del mondo, tra la realtà e la sua immagine, è con ciò raggiunta. L’uomo può dismettere la sua copia impalpabile come un abito usato. Come è possibile questo? « Come faccio a farmi seguire da quest’ombra? Non c’è il pericolo che si stacchi e se ne vada per conto suo? – gli domandò il ragazzo. – Non preoccuparti . Io te la sistemo in modo che non si allontani da te e sia permanente, o almeno che non si stacchi da te fin quando non la vorrai cambiare o riprenderti la tua». Nel colloquio surreale tra il cliente e Pérez  le persone appaiono come le “proprietarie” delle loro ombre, una proprietà però – come nell’ideologia consumistica della società contemporanea – che può trasformarsi in asservimento. La nuova ombra, che sostituisce l’antica, diviene, come si è detto, il modello a cui il corpo deve adeguarsi: da serva diviene padrona. La mercificazione delle ombre, causata dal furto di Roby, produce l’asservimento degli uomini. Queste crescono talmente in autonomia da indurre il gruppo degli amici all’ipotesi, poi smentita, che possano parlare. All’ipotesi che «una volta scollate dal corpo dei legittimi proprietari» possano seguire «volontariamente» Pérez. Di fatto, nella scena finale, esse giocano a pallone come se fossero i protagonisti in carne ed ossa. «Una, due, tre macchie scure saltavano senza fare rumore; sembravano fatte di aria. Calciavano, e colpivano la palla con la testa». Non è che l’ultimo dei prodigi: ombre immateriali che urtano corpi materiali, di un mirabolante racconto.  Ciò che è miracoloso è, in realtà, la penna lieve dell’autrice, la sua capacità di amalgamare, senza salti stilistici, il fantastico con la vita quotidiana. Una dote rara, preziosa. Il quinto racconto di Verónica Burroni Cantero, ora per la prima volta tradotta in italiano, non sarà certo l’ultimo.

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