Quale presenza sociale per i cattolici nell’epoca di papa Francesco?

giorgio-la-pira-uomo-di-pace-dialogo1di Massimo Borghesi. Giovedì 10 novembre il quotidiano La Sicilia ha pubblicato un’interessante intervista a Massimo Borghesi sul tema della presenza sociale e politica dei cattolici nell’epoca di papa Francesco, in cui il filosofo auspica un nuovo Codice di Camaldoli, il documento programmatico di politica economica che i cattolici elaborarono nel 1943 in vista di un impegno futuro (nella foto, Giorgio La Pira). Trovate a questo link l’articolo di Andrea Gagliarducci intitolato “Dopo la Dc e la linea Ruini cattolici alla sfida della povertà”, mentre sotto riportiamo, per una completezza ancora maggiore, le risposte inviate dal docente dell’Università di Perugia alle domande del giornalista.

 

  1. Quale può essere la presenza dei cristiani oggi in una società pluralista? E soprattutto, quale può essere la presenza cattolica oggi?

Nell’attuale contesto politico italiano la presenza politica dei cristiani è “disseminata”, presente in pressoché tutte le forze politiche e sociali. Questo di per sé non è un fattore negativo. Non lo è se i cristiani rappresentano una matura coscienza critica delle ideologie e degli assetti di potere che governano il mondo attuale. Diversamente il loro essere cristiani si limita ad una pratica liturgica domenicale, priva di rilevanza sul terreno pubblico. Ciò che unisce una società è la dimensione del bene comune. È questa che deve improntare la politica, dal parlamento, al governo, al sindacato, alle associazioni no profit, al mondo dell’industria. I cristiani, al pari degli altri, sono chiamati a dare il loro contributo al bene comune. Lo devono fare “laicamente”, e tuttavia con un timbro proprio. Questo contributo oggi è sensibile su taluni temi (aborto, famiglia, eutanasia, ecc.), meno su altri. In un tempo in cui milioni di persone versano in povertà e la disoccupazione giovanile è al massimo ci si aspetta un contributo più significativo, di pensiero e di azione, a questo livello. Si avverte l’esigenza di un nuovo Codice di Camaldoli, il documento programmatico di politica economica che i cattolici elaborarono nel 1943 in vista di un impegno futuro. Un documento animato da un grande impeto ideale di trasformazione e di solidarietà sociale. Oggi, nel clima di rassegnazione che tutto domina, non si vede nulla di simile all’orizzonte. Eppure sarebbe sufficiente leggere le pagine della Evangelii gaudium dedicate alla questione sociale per avere un chiaro orientamento sul momento presente.

  1. Terminata la fase del “partito cristiano”, e terminata anche l’era dei “valori non negoziabili”, si assiste forse ad una nuova fase. Come si può definire questa fase? E i cattolici possono avere un peso nel formare politiche e coscienze?

La fase presente del cattolicesimo italiano vede due istanze che non riescono, al momento, a saldarsi. Da un lato c’è l’eredità della Chiesa “extraparlamentare”, quella che dopo la fine della Democrazia cristiana ha gestito direttamente con il potere, senza intermediari, lo spazio pubblico. È la Chiesa che concentra la sua attenzione su un gruppo di “valori non negoziabili” chiamando i laici alla loro difesa. Il limite qui non è nella difesa di taluni valori, che meritano certamente di essere salvaguardati, ma nel loro numero “ristretto” che emargina quelli tipicamente “sociali”. E, in secondo luogo, il limite è stato anche quello di trascurare la formazione di una coscienza laicale matura e responsabile. Donde un inevitabile clericalismo che ha caratterizzato la stagione ecclesiale passata.

Dall’altro lato abbiamo l’istanza portata dal pontificato di Francesco, quella di un Chiesa missionaria a tutto campo, che si colloca non sugli spalti della fortezza ma “fuori”, in partibus infidelium. Una Chiesa che annuncia il Dio della misericordia e non rinuncia alla promozione umana. Sono due prospettive che, al momento, faticano ad integrarsi. L’una volta a conservare, l’altra a creare. È auspicabile che possano dialogare ed incontrarsi. Un cattolicesimo diviso non aiuta né la dimensione civile né quella missionaria.

  1. In questa nuova fase, si nota quasi un duopolio: da una parte coloro che insistono sui valori non negoziabili, come vita e famiglia, e quanti si confrontano più sul tema sociale. Ci sarà secondo lei un momento in cui questi due punti di vista convergeranno? E come?

È quello che stavamo dicendo. La soluzione sta nel magistero del Papa. Per Francesco, in ciò degno erede di Paolo VI, evangelizzazione e promozione umana si implicano a vicenda. La priorità dell’annuncio e della testimonianza cristiana nel mondo secolarizzato non esclude l’impegno per il bene comune. Si tratta solo di porre in luce una priorità: l’incontro cristiano viene prima, la Grazia primerea. Poi, secondo la vocazione specifica di ciascuno, si ha l’impegno sociale e civile nel mondo: per i poveri, per il bene comune, per la pace. Chiarito l’ordine dei fattori, e delle vocazioni, il quadro si semplifica e la sintesi delle due prospettive diviene possibile.

  1. In vista del prossimo referendum, i cattolici “pro-family” (chiamiamogli così) hanno preso una posizione molto netta in favore del no al referendum, mentre gli altri sembrano in qualche modo tiepidi nel dibattito. Ma, parlando in astratto, quale dovrebbe essere la posizione dei cattolici in questo momento? E in che modo dovrebbe essere presente?

Il quesito del referendum, che verte sull’abolizione o meno del Senato, è reso complicato dalla presenza di una legge elettorale di tipo maggioritario per la quale la vittoria è ottenuta attraverso una percentuale fortemente bassa. In tal modo, venendo a scomparire il bicameralismo, la tentazione da parte del partito vincitore di occupare ogni spazio di potere senza trovare più contrappesi è decisamente forte. Se la legge elettorale fosse modificata in senso maggiormente proporzionale non ci sarebbero problemi nella soppressione del Senato. La posizione dei cattolici, e non solo di loro, dovrebbero essere attenta a conservare il giusto equilibrio che è la forma della democrazia.

  1. Sembra che la Dottrina Sociale della Chiesa non sia più un tema all’interno del dibattito politico. Perché? 

La dottrina sociale non è più al centro della riflessione dei cattolici da molto tempo. Nella stagione della Chiesa “extraparlamentare” ha avuto una visibilità minima. Oggi con il pontificato di Francesco dovrebbe tornare al centro come antidotto della cultura dello “scarto” che domina l’attuale concezione tecnocratica ed economicistica della realtà. Una cultura che taglia i poli “inattivi”: i malati, i vecchi, gli handicappati. Una cultura che favorendo i processi di disoccupazione scarta non solo gli anziani ma anche i giovani. E così le due ali della società, quella che conserva la memoria del passato e quella che guarda con speranza al futuro sono abbandonate al loro destino con il risultato che la società, schiacciata sul presente, è senza domani. La dottrina sociale è l’utopia che vive della memoria passata di un popolo. Suo fine è consentire l’unità sociale e la vita integra di un popolo.

  1. Quale è il futuro dell’impegno cattolico in politica? Ci sarà un nuovo partito, un nuovo movimento culturale o cosa? E cosa auspica? 

Ciò che auspico io ha poco valore. Certamente finora all’orizzonte si vede solo la grande figura di un Papa. Una figura che desta ammirazione e speranze in tanti che magari sono molto distanti dalla Chiesa. Non mi pare, però, che la testimonianza di Francesco sia accompagnata da un movimento ecclesiale, di idee e di azione. Lo stesso episcopato italiano si dimostra, in larga misura, “passivo”. Come se non fosse in grado di tradurre, in parole e gesti, la rivoluzione, di stile innanzitutto, del pontificato. Questo con le dovute eccezioni, naturalmente. Sto qui parlando di un movimento, di un moto ideale, non di un partito dei cattolici, il quale, in questo momento storico, non avrebbe alcuna utilità e sarebbe certamente controproducente proprio per una presenza dei cattolici nel sociale.

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