«Un cristianesimo che affida il proprio destino all’esito della battaglia culturale ha già perso»

Pubblico la traduzione italiana della lunga e approfondita intervista che ho rilasciato a Julio Borges Junyent. (Nell’immagine, Karl Marx e Friedrich Nietzsche)

Partiamo dalle basi, tutti parlano di postmodernismo, ma se ti chiedi forse pochi sanno dire qualcosa di concreto. Come definisce il postmodernismo? Quali sono i loro tratti negativi e quali quelli positivi, se ce ne sono?

L’orientamento postmoderno in filosofia prende forma a partire dagli anni ’80 del secolo passato e si impone dopo il crollo del comunismo sovietico, nel 1989-1991. Dal punto di vista ideale segna il passaggio dall’egemonia di Marx-Hegel all’egemonia di Heidegger-Nietzsche, due autori collegati, a titolo diverso, alla questione nazionalsocialista. Il relativismo che domina la scena e segna le correnti postmoderne, derivate in larga misura dal ’68 francese, è in realtà l’esito di uno scacco, di un fallimento: quello di milioni di uomini che hanno sperato (vanamente) nella trasformazione del mondo operata dal marxismo. Questa disillusione ha certamente aspetti positivi che conducono all’autocritica del dogmatismo ideologico e totalitario.  L’esito non è però un sano ritorno al realismo e agli ideali autentici quanto l’imporsi di un mondo estetico, virtuale, dominato dall’apparenza e dal divertissement. Il postmodernismo costituisce l’ideologia propria del neocapitalismo dell’era della globalizzazione. Il suo orizzonte è dominato da correnti che teorizzano la fine della storia, della politica, dei grandi ideali volti a realizzare il bene e la giustizia nel mondo. La politica non si occupa più del bene comune e si concentra, unilateralmente, sui diritti individuali mutuati dalla cultura liberal. Non si comprende nulla dell’orientamento postmoderno se non si parte dal fallimento storico del marxismo. È quel fallimento che trascina con sé anche quello dell’illuminismo, dell’idea di verità e di progresso, e consegna il mondo nelle mani di un mondo retto dalla tecnocrazia.

In che modo il postmodernismo, con la sua enfasi sul relativismo e sulla frammentazione, ha influenzato la fede cristiana e la Chiesa? Quali sono le principali sfide che il postmodernismo pone al cristianesimo?

L’influenza è stata più di tipo negativo che positivo. La Chiesa ha pensato, negli anni ’90, che la caduta del comunismo, cioè dell’ultima forma dell’ateismo dell’800, potesse riaprire le porte dell’Occidente alla fede. Questo ritorno non è però avvenuto, né ad Est né ad Ovest. Al contrario il processo di secolarizzazione, favorito dal nuovo modello di capitalismo, ha subito un’accelerazione. Fino a quando il comunismo è stato forte, nell’Europa orientale e in Russia, l’Occidente ha praticato un capitalismo mitigato da un liberalismo etico fondato sulla dignità della persona con particolare attenzione alla questione sociale. Dopo l’89 il neocapitalismo, privo dell’avversario, ha ritenuto di avere le mani libere e di poter fare a meno di preoccupazioni morali. Così la secolarizzazione si è identificata con una ideologia liberista, fondata sui desideri individuali, che ha trovato la sua formulazione nella corrente postmoderna. La sua forza è stata nel presentarsi come un’ideologia progressista mentre, in realtà, ha rappresentato il trionfo di un individualismo profondamente utile agli interessi del neocapitalismo. Di fronte a questi mutamenti la Chiesa, impreparata, si è chiusa in una reazione di difesa. La sua presenza si è totalmente polarizzata nella difesa di alcuni valori negati dalla cultura dominante. Dottrina sociale e dimensione missionaria della fede sono cadute in secondo piano.

Come può il cristianesimo riacquistare la sua rilevanza in un mondo postmoderno?

Molti cristiani si illudono di riacquistare questa rilevanza attraverso operazioni di marketing, strategie di potere, rivisitazioni meramente culturali. Ciò da cui si deve partire è una constatazione di tipo realistico: in Occidente la tradizione cristiana riguarda ormai solo una minoranza della popolazione. In America Latina il problema è diverso. Lì esiste ancora una fede popolare che però spesso non è in grado di pervenire ad una coscienza ideale, sistematica, capace di misurarsi con la storia. In Europa il cristianesimo riguarda il suo passato, molto poco il presente. Non è più combattuto, come negli anni ’70 dominati dal marxismo, e questo perché siamo di fronte non ad atei ma ad agnostici che nulla sanno della fede. Perciò il problema non è, in primo luogo, quello della dialettica culturale ma quello del riaccadere di esperienze di fede, personali e comunitarie, in modo che l’uomo “postmoderno” possa incontrare, di nuovo, o per la prima volta, il cristianesimo. Possa sperimentare il fascino della realtà di Cristo nella vita. La prospettiva che segnava il grande incontro di Aparecida del 2008, quello della Chiesa latinoamericana guidata dal cardinale Jorge Mario Bergoglio, era: <<Come 2000 anni fa>>. Il mondo postmoderno presenta molte analogie con il paganesimo romano del II-III secolo dopo Cristo. I cristiani di allora non scommisero sulla vittoria culturale, né fino a Teodosio su quella politica, ma rischiarono una testimonianza gratuita che, come scrive Ratzinger, si trasmetteva da persona a persona. In questo modo, in 300 anni, riuscirono a mutare il volto del più grande impero della storia.

Nel suo lavoro lei ha analizzato il rapporto tra cristianesimo e cultura occidentale. Come vede il futuro di questo rapporto in un contesto in cui l’Occidente nega sempre più la propria identità e i propri valori?. in un’Europa in cui tra pochi anni il cristianesimo sarà una minoranza debole rispetto alle altre culture all’interno dell’Europa stessa.

Il rapporto tra cristianesimo e cultura occidentale è complesso e richiede una riflessione più articolata di quella consueta. La modernità europea non è globalmente caratterizzata da una cultura anticristiana, come da laici e da cattolici si continua a ripetere. In realtà è la seconda modernità, quella che matura a partire dalla seconda metà del 1700, che sviluppa il modello della secolarizzazione che trionfa nell’era romantica. Da allora è un susseguirsi di periodi che vedono tempi di restaurazione contrapporsi a tempi di crisi dei valori. La crisi di oggi è, come abbiamo detto, strettamente dipendente dal fallimento del marxismo, dalla crisi di una fede secolare condivisa da milioni di uomini. Nietzsche, il pensatore della destra, ha preso il posto di Marx, il filosofo della sinistra. Ma questo ritorno a Nietzsche non è una novità. Era già al centro della cultura europea nella prima metà del XX secolo. Per questo dovremmo essere immuni dalla sua influenza, anche se purtroppo non è così. Comunque l’individualismo libertario, che domina attualmente la scena, in Occidente, non può essere arrestato solamente collocandosi su un terreno culturale reattivo. Il cristianesimo deve proporre un altro modello di vita, solidale e pacifico, capace di raccogliere le istanze di libertà e le dinamiche del desiderio senza piegarle al soggettivismo irrazionale fondato su una radicale estraneità tra gli uomini.

Qual è la sua opinione sull’attuale cosiddetta battaglia culturale? Le posizioni di quella battaglia sono ben consolidate? Chi lo sta vincendo e perché?

Un cristianesimo che affida la sua sorte all’esito di una battaglia culturale ha già perso. Le battaglie culturali della Chiesa, nell’orizzonte odierno, hanno più una funzione “kathekontica” nel senso in cui ne parla San Paolo. Il kathekon è “il potere che frena”. Questo può avere un valore civile ma non garantisce certo una rinascita della fede oggi. Anche se uno Stato negasse l’aborto non per questo la società diverrebbe più cristiana. La lotta per la vita, per la libertà, per la pace, per la giustizia sociale, sono valori che i cristiani portano nel mondo, rappresentano il loro contributo alla realtà di tutti. È un compito necessario, un impegno che deve trovare le sue sedi istituzionali e politiche. Occorre però avere la consapevolezza, da parte della Chiesa, che la fede sorge dalla grazia, per l’opera di un Altro, non come esito di battaglie culturali e politiche. La fede nasce dalla testimonianza e dall’annuncio di Cristo morto e risorto come salvezza del mondo. Si tratta di due piani diversi, quello della fede e quello dell’impegno civico, che possono e devono trovare unità nella vita dei credenti ma che, di per sé, vanno distinti. Qui la distinzione scolastica tra naturale soprannaturale mantiene tutto il suo valore.

Tutti parlano della crisi della democrazia liberale, condivide questa percezione della “crisi della democrazia”, se sì, quali sono le origini di questa crisi? La democrazia è l’eccezione alla normalità personalistica che emerge in America e in Europa?

La crisi della democrazia liberale è essa stessa una conseguenza, indiretta, della caduta del comunismo. In Occidente la scomparsa del nemico storico ha determinato il passaggio dalla democrazia liberal-personalista alla democrazia libertaria e liberista. Un passaggio che determina la crisi stessa della democrazia perché l’istituto democratico, nell’Europa del post-1945, si fonda sui partiti, sui sindacati, sulle associazioni. Tutta questa rete dei corpi intermedi, degli organi mediatori tra i cittadini e i governanti, è progressivamente scomparsa. Si è risolta nel rapporto verticale tra l’uomo-massa e il leader, come accade nella versione mediatica, televisiva, della democrazia digitale o nella versione populistica per la quale il partito si identifica totalmente con il suo leader. In entrambi i casi scompare il partito come luogo di rappresentanza delle istanze popolari, come luogo di mediazione del potere e degli interessi. Lo svuotamento attuale delle democrazie rappresenta uno degli esiti del post-’89 allorché il neocapitalismo ha ritenuto che il Welfare, lo Stato sociale sostenuto dai partiti tradizionali, fosse troppo dispendioso e il potere di controllo da parte dell’economia fosse più forte senza l’ostacolo delle forze politiche. La cultura postmoderna, da parte sua, ha contribuito alla crisi del modello democratico minando la nozione di persona e dei diritti universali ad essa connessi. La pretesa della filosofia postmoderna di costituire l’unica legittimazione possibile della democrazia contrasta con i fondamenti egualitari della democrazia, con il valore unico della persona che ne sta alla base. La democrazia non si fonda sul relativismo ma sull’eguaglianza dei diritti fondamentali della persona.

Lei ha parlato della necessità di un “nuovo umanesimo cristiano” per affrontare le sfide del XXI secolo. Potrebbe spiegare in cosa consiste questo nuovo umanesimo e come può contribuire al rinnovamento del cristianesimo?

Il “nuovo umanesimo cristiano” è il risultato di una diffusione di esperienze cristiane che, in forma associativa e comunitaria, si diffondono nella società civile. I valori cristiani sono anche profondamente umani e questo in periodi di crisi viene alla luce con una intensità particolare. Il richiamo potente alla pace tra i popoli, che papa Francesco afferma in modo particolare dallo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina, è un richiamo che trova corrispondenza in milioni di persone oggi in Europa. Un richiamo che contrasta con i silenzi di capi di Stato e politici che, privi di iniziative diplomatiche, non rappresentano il sentire dei popoli. Il caso della lotta per la pace esemplifica bene cosa significa un “nuovo umanesimo cristiano”. Certamente non è questo che rinnova la fede anche se rimane un ottimo esempio della sua fecondità. Sono la fede, la carità, la speranza che rinnovano l’umanesimo. Non solo quello cristiano ma, per osmosi, anche quello degli altri uomini.

Che messaggio darebbe ai giovani che si sentono disorientati e disincantati in un mondo postmoderno, lontano anche dalla Chiesa e dalla democrazia?

La cultura postmoderna non rappresenta adeguatamente la condizione esistenziale post-moderna. L’uomo di oggi, il giovane di oggi è, come abbiamo detto, un agnostico. La cultura post-moderna eleva l’agnosticismo a ideologia; diversamente la condizione postmoderna vive l’agnosticismo come un dato di fatto. Si è agnostici perché si è cresciuti in famiglie agnostiche, perché non si è mai incontrato una testimonianza cristiana autentica. Non per una scelta ideologica ma per la mancanza di una presenza capace di suscitare un’attrattiva ed una speranza. Questo mondo è colmo di sesso e privo di amore, interconnesso digitalmente 24 ore su 24 da uomini e donne sprofondati nella solitudine. È il mondo come discoteca dove uomini e donne soli cercano legami passeggeri ed evanescenti. Il messaggio da dare oggi ai giovani? Quello di non sprecare la vita, di non dissiparla, di non cedere alla tentazione che l’esistenza non valga nulla, di aprirsi alle esperienze positive quando si presentano. Di non arrendersi al mondo mediatico. La vita ha un senso, occorre cercarlo. Non in sé stessi ma a partire dal volto di Altri, nell’impegno per l’umano, per la pace, per la giustizia, per l’amore. Un messaggio che chiama in causa la Chiesa la quale deve essere missionaria, deve proporre esperienze di vita e di fede, deve riproporre all’uomo di oggi la bellezza e l’umanità di Cristo come cuore del mondo.

2 pensieri su “«Un cristianesimo che affida il proprio destino all’esito della battaglia culturale ha già perso»”

  1. Uno spettacolo di giudizi, straordinaria chiarezza dello scenario in cui stiamo vivendo: soprattutto vien voglia di esserci sempre più in “questo” mondo quasi – bestemmia?-di volerlo, di sceglierlo questo mondo, per quanto incasinato, così com’è, per poter esser protagonisti e testimoni dell’ alba di un nuovo grande inizio del cristianesimo nel Nuovo Mondo! E di una nuova e vera amicizia quale suo seme.
    Touché!

  2. Grazie carissimo Massimo! Sempre più persuaso. Bisogna lavorare su questa tua intervista. In primis farla conoscere! Anzi, spero di raccogliere qualche commento o suggestione e potertele comunicare.
    Un abbraccio fraterno
    p

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