Nei giorni che hanno accompagnato il funerale di Benedetto XVI si sono moltiplicati gli interventi su Papa emerito e sul teologo Ratzinger. Molti con tono liquidatorio. A rettifica di tanti giudizi improvvisati abbiamo offerto una serie di contributi:
Joseph Ratzinger, una teologia storica (discusso da Riccardo Saccenti, vedi a questo link)
Ratzinger ed Erik Peterson con Agostino: il rifiuto della teologia politica
Il potere e la grazia: Ratzinger e il volume di “30Giorni” su sant’Agostino
A questi articoli aggiungiamo alcune pagine tratte dal nostro volume Il dissidio cattolico. La reazione a Papa Francesco (Jaca Book 2022) in cui si affronta il problema della contraccezione a partire dalla lettera enciclica Humanae vitae, promulgata da Paolo VI nel 1968, in cui veniva affermato il divieto assoluto della contraccezione artificiale. Si tratta di estratti delle pp. 20-36.
BENEDETTO XVI E LA CONTRACCEZIONE
Sul tema della contraccezione verte, com’è noto, Humanae vitae. Nel paragrafo 14 dell’enciclica Paolo VI scrive:
È altresì esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione. Né, a giustificazione degli atti coniugali resi intenzionalmente infecondi, si possono invocare, come valide ragioni: che bisogna scegliere quel male che sembri meno grave o il fatto che tali atti costituirebbero un tutto con gli atti fecondi che furono posti o poi seguiranno, e quindi ne condividerebbero l’unica e identica bontà morale. In verità, se è lecito, talvolta, tollerare un minor male morale al fine di evitare un male maggiore o di promuovere un bene più grande, non è lecito, neppure per ragioni gravissime, fare il male, affinché ne venga il bene, cioè fare oggetto di un atto positivo di volontà ciò che è intrinsecamente disordine e quindi indegno della persona umana, anche se nell’intento di salvaguardare o promuovere beni individuali, familiari o sociali. È quindi errore pensare che un atto coniugale, reso volutamente infecondo, e perciò intrinsecamente non onesto, possa essere coonestato dall’insieme di una vita coniugale feconda[1].
Humanae vitae formulava qui una serie di passaggi che diverranno canonici per la dottrina morale ecclesiale successiva[2]. L’atto della contraccezione, giudicato sempre e comunque negativo, non poteva essere praticato in alcun modo. Non erano previste eccezioni di sorta. Non era possibile richiamarsi al principio del “minor male” in certe circostanze particolari poiché un male “assoluto” non prevede deroghe. L’enciclica equiparava, in tal modo, la contraccezione a mali quali l’omicidio, l’aborto ecc. Mali assoluti che, ovviamente, non ammettono eccezioni. Si tratta di una formulazione radicale le cui conseguenze estreme saranno tratte dal gesuita p. Joseph Fessio, editore americano della Ignatius Press, il quale in una lettera a Sandro Magister di fine gennaio 2015 dichiarerà che la contraccezione, nella misura in cui sopprime la possibilità di una nuova vita destinata all’eternità, è peggiore dell’aborto[3].
In realtà Paolo VI nel suo documento del 1968 chiudeva le porte ad una discussione quanto mai aperta che lui stesso aveva contribuito ad alimentare con l’istituzione di una commissione di lavoro nel 1961 motivata da un problema drammatico e reale: quello sull’uso o meno della pillola contraccettiva da parte delle suore che, durante la rivolta nel Congo del 1961, rischiavano di essere violentate. […] Il problema sollevato dal caso delle suore congolesi tornerà drammaticamente di attualità con la diffusione dell’Aids in Africa nel corso degli anni ‘90 e successivi. Poteva il profilattico essere ammesso quale protezione dal coniuge malato di Aids? Nel 2000 la risposta ufficiale della Chiesa, espressa dal presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute cardinal Javier Lozano Barragán, era stata negativa. Secondo Adista «Esemplare, nel 2000, la vicenda che vide opposti il Vaticano e la Conferenza episcopale brasiliana (v. Adista n. 47/00), in occasione del Primo Incontro sull’Aids e le malattie sessualmente trasmissibili. Meglio l’Aids che l’uso del preservativo: questa la posizione del Vaticano di fronte ad un episcopato che, nella persona del vescovo di Goiás Eugene Rixen, coordinatore della Commissione nazionale sull’Aids e le malattie sessualmente trasmissibili, aveva annunciato una posizione più morbida della Chiesa brasiliana rispetto all’uso del preservativo per i gruppi a rischio: “Tra la camisinha (il condom in brasiliano, ndr) e l’espansione dell’Aids, siamo obbligati a scegliere il male minore”, aveva affermato citando il card. Paulo Evaristo Arns, il quale, 5 anni prima, aveva chiesto che si cessasse di condannare il preservativo. Ma immediata era stata la reazione di Barragán, che allora ribadì che l’uso del preservativo, in qualunque circostanza, era contrario alle disposizioni vaticane e come la migliore maniera di evitare il contagio dell’Aids fosse l’astinenza sessuale e la fedeltà matrimoniale. E aveva addirittura aggiunto che se vi erano nella Chiesa posizioni contrarie alle prescrizioni vaticane si trattava di “opinioni isolate”: “quando un vescovo si allontana dal modo di pensare dell’episcopato – aveva affermato – è in errore”. E gli aveva fatto eco l’allora segretario di Stato vaticano card. Angelo Sodano che, attraverso il nunzio in Brasile Alfio Rapisarda, aveva richiamato i vescovi all’ordine»[4]. Questa rigidezza si scontrava con la posizione dei missionari, dei Padri Bianchi in particolare, impegnati in Africa nelle zone devastate dall’Aids. Un muro destinato comunque ad ammorbidirsi. Agli inizi del 2005 è il cardinal George Cottier, teologo della Casa Pontificia, che dichiarerà che «l’uso del profilattico in taluni casi si può considerare moralmente legittimo»[5]. Primo, perché «davanti ad un rischio imminente di contagio, è difficile intraprendere la via normale di contrasto alla pandemia, vale a dire l’educazione alla sacralità del corpo umano»[6]. Poi, perché «il virus si trasmette attraverso un atto sessuale; e così assieme alla vita il rischio è di trasmettere anche la morte. Ed è a questo punto che vale il comandamento ‘non uccidere’. Si deve rispettare la difesa della vita innanzitutto»[7]. Alle dichiarazioni favorevoli di Cottier faranno seguito quelle dell’arcivescovo di Bruxelles Gottfried Dannels, dell’arcivescovo di Westminster Cormac Murphy-O’Connor, del cardinale di Milano Carlo Maria Martini. Nel 2006 voci autorevoli dentro la Chiesa concordavano sulla possibilità di “eccezioni” al dettato rigido stabilito da Humanae vitae. Nel caso di relazioni sessuali tra persone, di cui una infettata dall’Aids, il profilattico consentiva la possibilità di salvare la vita. Con ciò si abbandonava la categoria dei “valori assoluti” e si reintroduceva la dottrina classica della gerarchia dei valori e del peso delle circostanze e delle intenzioni nella valutazione degli atti. Impedire la morte, preservare una vita reale, costituisce un valore più grande di quello concernente l’apertura ad una vita possibile. In una condizione di eccezione il condom rappresenta un “minor male” che consente l’affermazione di un bene più grande: quello di vivere e di non morire. Nell’arco di quasi 40 anni la riflessione sull’uso o meno dei contraccettivi, del profilattico in particolare, mostrava tutti i limiti dell’impostazione morale soggiacente ad Humanae vitae e, di riflesso, a Veritatis splendor.
A fare le spese di questi limiti, ancora una volta sulla questione dell’Aids, sarà papa Benedetto XVI il quale nel suo viaggio in Camerun ed in Angola, nel marzo 2009, dichiarava ai giornalisti in aereo:
«penso che la realtà più efficiente, più presente sul fronte della lotta contro l’Aids sia proprio la Chiesa cattolica, con i suoi movimenti, con le sue diverse realtà. Penso alla Comunità di Sant’Egidio che fa tanto, visibilmente e anche invisibilmente, per la lotta contro l’Aids, ai Camilliani, a tante altre cose, a tutte le Suore che sono a disposizione dei malati … Direi che non si può superare questo problema dell’Aids solo con soldi, pur necessari, ma se non c’è l’anima, se gli africani non aiutano (impegnando la responsabilità personale), non si può superarlo con la distribuzione di preservativi: al contrario, aumentano il problema»[8].
Rilanciata dalle agenzie stampa e dai media di tutto il mondo la frase suscitava ampie critiche e contribuiva ad oscurare quanto il Papa aggiungeva sull’impegno eroico e generoso di missionari, suore e personale sanitario nell’affrontare la tragedia dell’Aids in Africa. A meno di un anno dal viaggio africano papa Benedetto, nella sua intervista Luce del mondo con il giornalista Peter Seewald coglierà però tutti di sorpresa con una nuova dichiarazione. In essa riprenderà il giudizio espresso nell’areo per Yaundé ma lo completerà con affermazioni che risultavano nuove ed esplosive.
Vi possono essere singoli casi giustificati, ad esempio quando una prostituta utilizza un profilattico, e questo può essere il primo passo verso una moralizzazione, un primo atto di responsabilità per sviluppare di nuovo la consapevolezza del fatto che non tutto è permesso e che non si può far tutto ciò che si vuole. […] Naturalmente la Chiesa non considera i profilattici come la soluzione autentica e morale. Nell’uno o nell’altro caso, con l’intenzione di diminuire il pericolo di contagio, può rappresentare tuttavia un primo passo sulla strada che porta ad una sessualità diversamente vissuta, più umana[9].
In poche e semplici parole il Papa mandava letteralmente in crisi gran parte del quadro teorico al centro della dottrina morale degli ultimi decenni. Lo faceva non certo da un punto di vista “relativista”, di cui Ratzinger era un critico severo, ma sposando una prospettiva più tradizionale meno legata ai canoni del rigorismo etico dipendente dall’oggettivismo della scuola fenomenologica. Nel caso dell’uso del profilattico papa Ratzinger reintroduceva tre nozioni dichiarate inammissibili in precedenza. La prima: «Vi possono essere singoli casi giustificati». Con ciò l’esclusione di eccezioni nel caso degli atti “intrinsecamente cattivi” veniva smentita. In taluni casi l’uso del profilattico era consentito. Laddove la vita era in pericolo l’uso del preservativo «con l’intenzione di diminuire il pericolo di contagio» era permesso ed auspicato. Il condom costituiva quindi, ed era una seconda categoria precedentemente esclusa, un «minor male» rispetto al rischio di morte. La decisione di usare il profilattico da parte della prostituta, o del “prostituto” secondo l’originale versione tedesca, costituiva inoltre un «primo passo verso una moralizzazione, un primo atto di responsabilità». Se esso veniva praticato con l’intenzione di diminuire il pericolo di contagio allora costituiva uno stadio verso la moralità. L’atto non veniva quindi specificato solo a partire dall’oggetto, come vuole Veritatis splendor, ma anche dall’intenzione la quale può avere un valore morale al di là dell’atto, quello della prostituzione, che di per sé rimane cattivo.
Le risposte di Benedetto XVI a Seewald rappresentavano una prova di coraggio ed invitavano ad un ripensamento dell’impianto teorico della dottrina morale della Chiesa su alcuni casi specifici[10].[…] .
[Di fronte alle affermazioni del Papa la reazione di molti “ratzingeriani”, in particolare negli Stati Uniti, fu decisamente dura]. Tra essi troviamo in prima fila l’ormai noto editore della Ignatius Press, il gesuita americano Joseph Fessio, colui che edita Luce nel mondo negli Stati Uniti. In un articolo del 24 novembre 2010 Fessio si opponeva ad ogni possibile eccezione nell’uso del preservativo[11]. «In primo luogo una soluzione che non sia “morale” non può essere “giustificata”. Questa è una contraddizione e significherebbe che qualcosa di per sé moralmente malvagio potrebbe essere “giustificato” per raggiungere un buon fine. Nota: il concetto di “male minore” è qui inapplicabile. Si può tollerare un male minore; non si può fare qualcosa che sia un male minore. […] Insomma, il Papa non ha “giustificato” in nessun caso l’uso del preservativo. E l’insegnamento della Chiesa rimane lo stesso di sempre, sia prima che dopo le dichiarazioni del Papa»[12]. Per Fessio il Papa non avrebbe quindi mai giustificato in alcun modo l’uso del preservativo. Essendo la contraccezione un male assoluto la norma non ammette eccezioni.
La disinvoltura del gesuita americano è impagabile anche se Fessio non è certo l’unico ad opporsi alle dichiarazioni di Luce del mondo. Negli Stati Uniti il cardinal Raimond Burke, nonché George Weigel, biografo di Giovanni Paolo II e protagonista del pensiero teocon, si mostreranno fortemente critici sulle aperture di papa Benedetto[13]. Tanto Burke, una dei firmatari della lettera dei quattro cardinali con i “dubia” su Amoris laetitia, quanto Weigel saranno tra i più decisi oppositori del pontificato di Francesco. I cattolici conservatori americani non saranno comunque gli unici ad opporsi alle aperture di Benedetto XVI. In Africa, una nota sottoscritta dal cardinale John Njue, arcivescovo di Nairobi, insieme a 24 vescovi, dichiarava che «la posizione della Chiesa cattolica sull’uso del preservativo, sia come mezzo di contraccezione sia come mezzo per affrontare il grave problema dell’HIV/AIDS, non è cambiata, e [il suo uso] resta come sempre inaccettabile»[14]. L’intensità del dibattito suscitato dalle parole del Papa mostrava quanto pesante fosse l’eredità di Humanae vitae su una questione di non difficile soluzione: è lecito o no usare il condom di fronte alla minaccia dell’Hiv? È lecito o no il suo uso laddove i soggetti interessati non adottino la via della castità? E’ ovvio che la risposta non poteva che essere positiva e questo senza minimamente sminuire la valutazione negativa sulla prostituzione. Il problema si ripresenterà di nuovo attuale nel 2016 allorché il virus “Zika” comporterà il rischio per la salute dei bambini durante la gravidanza delle donne. In quell’occasione papa Francesco, nella conferenza stampa del viaggio in aereo di ritorno dal Messico e dall’Havana, dirà:
L’aborto non è un “male minore”. È un crimine. È fare fuori uno per salvare un altro. È quello che fa la mafia. È un crimine, è un male assoluto. Riguardo al “male minore”: evitare la gravidanza è un caso – parliamo in termini di conflitto tra il quinto e il sesto comandamento. Paolo VI – il grande! – in una situazione difficile, in Africa, ha permesso alle suore di usare gli anticoncezionali per i casi di violenza. Non bisogna confondere il male di evitare la gravidanza, da solo, con l’aborto. L’aborto non è un problema teologico: è un problema umano, è un problema medico. Si uccide una persona per salvarne un’altra – nel migliore dei casi – o per passarsela bene. È contro il Giuramento di Ippocrate che i medici devono fare. È un male in sé stesso, ma non è un male religioso, all’inizio, no, è un male umano. Ed evidentemente, siccome è un male umano – come ogni uccisione – è condannato. Invece, evitare la gravidanza non è un male assoluto, e in certi casi, come in quello che ho menzionato del Beato Paolo VI, era chiaro[15] .
In perfetto accordo con quanto papa Benedetto aveva dichiarato ne “La luce del mondo”, anche Francesco superava, d’incanto, 50 anni di discussioni, spesso inutili e capziose. Distingueva tra il male “assoluto”, l’aborto, e il “male minore”, la contraccezione, la quale, in determinate circostanze, può divenire lecita senza compiere peccato. Il fatto che la teologia morale cattolica si sia privata della categoria del “male minore” e si sia legata le mani con una teoria degli assoluti morali senza gradazioni di sorta tra valori maggiori e valori minori ha impoverito la riflessione morale in modo profondo e ha tracciato dei confini, tra ortodossia ed eterodossia, che peseranno negativamente nella coscienza cattolica contribuendo a dividerla in fazioni e gruppi di potere in lotta tra di loro.
[1]PAOLO VI, Lettera Enciclica Humanae vitae, & 14.
[2]Sul processo, laborioso e sofferto, che sta dietro alla pubblicazione di Humanae vitae si cfr. lo studio fondamentale di G. MARENGO, La nascita di un’Enciclica. “Humane vitae” alla luce degli Archivi vaticani, Prefazione di Pierangelo Sequeri, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2018.
[3]J. FESSIO, In S. MAGISTER, “La Civiltà Cattolica” non ha sempre ragione. Parola di gesuita, http://chiesa.espresso.repubblica.it (29-01-2015).
[4]Il Vaticano corre ai ripari: meglio il preservativo dell’Aids, ADISTA, 85, 02-12-2006.
[5]Ibidem.
[6]Ibidem
[7]Ibidem.
[8]Intervista concessa dal Santo Padre Benedetto XVI ai giornalisti durante il volo verso l’Africa, (17-03-2009), https://www.vatican.va/.
[9]BENEDETTO XVI, Luce del mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi. Una conversazione con Peter Seewald, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010, pp. 170-171.
[10]Nel 2006 papa Benedetto aveva chiesto al Pontificio Consiglio per la pastorale della salute uno studio sul tema del profilattico in relazione alla diffusione dell’Aids. Documento da sottoporre al vaglio della Congregazione per la dottrina della fede Cfr. Il Papa chiede un dossier sul preservativo come strumento di prevenzione per l’Aids, https://www.repubblica.it/ (21-11-2006). La Commissione non riuscirà, tuttavia, a portare a termine il proprio lavoro (cfr. A. IVEREIGH, Aids, condoms, and the suppression of theological truth, «America», 11-02-2010, https://www.americamagazine.org/).
[11]J. FESSIO, Did the Pope “justify” condom use in some circumstances?, «The catholic World Report” (24-11-2010) https://www.catholicworldreport.com.
[12]Ibidem.
[13] Cardinal Burke: What the Pope Really Meant, Interview with John Burger, «National Catholic Register» (23-11-2010), https://www.ncregister.com; G. WEIGEL, The Pope, the Church, and the Condom: clarifyng the state of the Question, «First Things» (17-12-2010), https://www.firstthings.com/.
[14]Conferenza Episcopale del Kenya, Nota circa le dichiarazioni sul preservativo attribuite al Santo Padre, in S. MAGISTER, Chiesa e profilattico. Il “no” degli intransigenti (04-12-2010), http://chiesa.espresso.repubblica.it.
[15]Conferenza stampa del Santo Padre durante il volo di ritorno dal Messico (17-02-2016), https://www.vatican.va.
Buon giorno Prof,
i suoi articoli sono sempre interessanti. Stavolta devo dirLe che purtroppo non condivido. Mi sono formato all’Istituto Giovanni Paolo II, prima del licenziamento di Mons Melina e della sua “riforma”.
Giustamente Augusto del Noce affermava che la sfida della rivoluzione sessuale è assoluta e si configura come «la più grande crisi metafisico-etico-religiosa che l’Occidente abbia affrontato nella sua storia.
Da un lato essa si impone con la forza dello “scientismo”, che rifiuta di riconoscere l’esistenza di qualsiasi ordine di fini, basati sulla natura, che possano orientare la libertà umana e quindi fondare l’etica in modo oggettivo, con una categoria di “specie, la specie morale. Dall’altro implica come valide solo le “spiegazioni dal basso” del comportamento sessuale, riconducendo i valori che la tradizione presentava come assoluti alle loro cause psicologiche o sociali.
L’ex preside dell’istituto Giovanni Paolo II, mio maestro, ha recentemente risposto (durante una conferenza dell’8 dicembre a Roma) a una domanda sulla differenza tra il dibattito ai tempi della commissione che doveva aiutare Paolo VI a prendere una posizione sulla natura morale del ricorso alla pillola contraccettiva e quello attuale. All’epoca, il punto era capire come valutare moralmente un atto che materialmente sembrava mantenere integro l’atto coniugale, a differenza di altre pratiche contraccettive conosciute. Il Magistero interpretò la tradizionale condanna della contraccezione in un senso di approfondimento nella continuità, portando la valutazione morale sull’atto intenzionale e non solo su quello meramente materiale.
La posizione “assolutrice” di oggi, al contrario, non è più giustificata, perché nel frattempo vi sono stati i pronunciamenti di Humanae Vitae e di Veritatis Splendor, che ha confermato l’enciclica di Paolo VI e ne ha dato un ulteriore approfondimento. Per questo, la modalità con cui il Testo Base (della Pontificia Accademia della Vita, notoriamente non sfavorevole alla contraccezione e alla fecondazione artificiale, seppure omologa, pubblicato lo scorso anno) si proponeva di reinterpretare HV, va in realtà contro il senso di quest’ultima, perché nega l’oggetto intenzionale della contraccezione; ed ancor più si oppone frontalmente a VS, che appare come il vero obiettivo finito nel mirino del “nuovo paradigma”.
Mons. Melina vedeva nel TB una sopravvalutazione della coscienza, che da semplice riflessione sul giudizio della ragion pratica, è divenuta coestensiva alla persona stessa, trasformandola in un «soggetto senza corpo». Questo modo di intendere la coscienza esaurisce la realtà morale, perdendo così il dinamismo dell’azione morale, ed impedisce che possa esservi la possibilità che qualcosa di esterno istruisca e illumini la coscienza stessa. Non si dà, in questo modo, verità se non all’interno della coscienza stessa, esito in ambito morale del soggettivismo contemporaneo.
Un altro elemento evidente nel Testo Base, era costituito dal cambiamento del linguaggio proprio della morale. Svaniscono i termini di bene, male, peccato, per far spazio ad espressioni equivoche, come “mentalità contraccettiva” o “bene come ideale”. L’enfasi sulla mentalità permette di evitare di parlare di atti moralmente cattivi. È per questo che si è arrivati all’assurdo di valutare come sbagliata la fecondazione artificiale eterologa, ammettendo invece la liceità di quella omologa; una soluzione che però è basata sul nulla, lasciando solo al fattore tempo di condurre alla conclusione della liceità anche dell’eterologa. Il “nuovo paradigma” non lascia così più nulla che sia normativo, proprio perché esclude la possibilità di fondare il discorso etico sul bene e sul male, lasciando che una non ben intesa misericordia finisca per escludere l’idea stessa del peccato.
Sono convinto che la strada giusta per le controversie teologiche e morali sia quella operata a suo tempo dalla “Dominus Iesus” del 2000, ossia il mettere al centro Cristo, e superare la divisione con cui i media dipingono ogni cosa, ossia liberalismo e conservazione. Il primo privilegia la libertà, la persona sulla verità, il secondo fa viceversa dipendere le scelte dalla verità oggettiva. Riuscire a mantenere una unione tra due realtà opposte, come Dio e l’uomo, il kerigma e il dogma, la storia e l’eternità, la verità ontologica e la verità dell’amore storicamente incarnata, la fede personale e comunitaria non è un compito facile, ma va compiuto, senza snobismo storico, direbbe C.S. Lewis.
Grazie Prof, comunque per i suoi spunti, sempre stimolanti e ricchi!
paolo