Il 18 maggio 1920, 100 anni fa, nasceva a Wadowice in Polonia, Karol Wojtyla, il futuro Giovanni Paolo II. Lo ricordo qui con alcune pagine, a lui dedicate, tratte dal mio volume Critica della teologia politica. Da Agostino a Peterson: la fine dell’era costantiniana, Marietti, Genova-Milano 2011, pp. 254-260.
Dopo la breve stagione di papa Luciani e la crisi post conciliare che segna gli ultimi anni di Paolo VI, l’elezione, nel 1978, di Karol Wojtyla al soglio di Pietro, pare chiudere una stagione di incertezze e di dubbi. Il grido iniziale del nuovo Pontefice – «Aprite le porte a Cristo!» – trova il suo documento programmatico nella prima enciclica, Redemptor hominis, del marzo 1979. Questa “apertura” del mondo pare divenire effettuale dopo il primo viaggio trionfale di Karol Wojtyla in Polonia il 2 giugno 1979. L’entusiasmo della folla rivela al mondo che il Papa dispone ora di un popolo; nessun Pontefice, nel corso degli ultimi secoli, ha potuto usufruire di un tale potere. Questo popolo, che vede nel Papa il “suo” Papa, il liberatore dall’oppressione e dalla menzogna, si trova a svolgere, nel corso degli anni Ottanta, un ruolo strategico di primo piano nell’ambito della divisione tra i due blocchi. Per Giovanni Paolo II la Polonia è anzitutto il “suo” Paese, la terra martoriata da secoli in cui nazione e cattolicesimo si fondono insieme all’insegna della croce e della Madonna di Czestochowa. La sua collocazione al “centro” dell’Europa, tra Est e Ovest, assume un valore mistico. nella visione del Papa l’Europa “carolingia”, l’Europa di Adenauer, Schuman, De Gasperi, è solo una parte dell’Europa: è il frutto di Yalta e delle sue violente divisioni. L’Europa deve invece tornare a respirare con due polmoni. La Chiesa occidentale come quella orientale, san Benedetto e i santi Cirillo e Metodio, dal 1980 copatroni d’Europa, sono parti di un’unica cristianità. in quest’opera di riavvicinamento la Polonia, resa idonea al compito dai suoi dolori, è la nazione che deve unire mediante l’esempio, risollevare la cristianità spenta dell’Occidente e dare vigore e dignità alla Chiesa nascosta e sofferente dell’Oriente. Riluce, in tale concezione, il messianismo cristiano-romantico di Adam Mickiewicz, figura molto amata da Karol Wojtyla, la sua idea della missione di salvezza da cui la Polonia è investita nel concerto delle nazioni. Abbracciando tale visione il Papa, “romano” e “polacco”, si colloca in una prospettiva diversa rispetta a quella dei pontefici che lo hanno preceduto. In Italia il fallimento del disegno di Vincenzo Gioberti di conferire alla nazione un “primato morale e civile”, a partire dalla tutela spirituale del Pontefice, si esprime nel dissidio tra Chiesa e Stato, religione e nazione, che segnerà tutta la sua storia dal 1870 in avanti. Il Vescovo di Roma non ha così un “modello italiano”, nazional-popolare-cristiano, da offrire al mondo. Ciò che non è ipotizzabile per un Papa italiano diviene invece pensabile per il Papa polacco per il quale, nella riattualizzazione del modello giobertiano analogo a quello di Mickiewicz, la Polonia diviene espressione di un modello teologico-politico. Questo appare reale nelle vesti di Solidarność, del sindacato libero guidato da Lech Wałęsa in cui l’unione marxista tra ateismo e classe operaia viene rigorosamente smentita. È il sogno della Rerum Novarum di Leone Xiii, l’incontro tra cristianesimo e mondo del lavoro, che pare finalmente attuarsi. L’enciclica Laborem exercens, data nel settembre 1981 dopo l’attentato subìto dal Papa in piazza S. Pietro il 13 maggio 1981, è, nelle intenzioni del Pontefice, il manifesto del nuovo movimento dei lavoratori. Il Papa diviene, quindi, il leader spirituale e politico di un movimento in atto, presente in un Paese dell’area sovietica. Ciò lo porta a svolgere un ruolo, sulla scena internazionale, che non ha uguali nella storia recente del papato. Per trovare dei precedenti bisogna riandare ai grandi pontefici del Medioevo, al conflitto che divide papato e impero. Carl Bernstein e Marco Politi, nella loro biografia su Giovanni Paolo II, rimandano, in proposito, alle figure di Gregorio VII e Innocenzo III[1]. Baget Bozzo pensa a Bonifacio VIII[2]. L’analogia può avere una sua realtà nel caso di Gregorio VII, il Papa che guida lo schieramento riformatore, e, fuori da ogni compromesso, porta la Chiesa allo scontro frontale col potere secolare per affermare la propria libertà. Allo stesso modo con Giovanni Paolo II la Östpolitik, che aveva fino a quel momento guidato la politica vaticana verso l’Est, una politica del passo dopo passo tesa realisticamente a conquistare spazi di libertà per la Chiesa, viene decisamente posta in congedo. Ciò che si vuole è il cambiamento politico della Polonia quale condizione per la libertà religiosa. Si tratta di un’operazione rischiosa in cui Karol Wojtyla impegna tutto se stesso. Può farlo perché la congiuntura internazionale gli è favorevole. Bernstein e Politi nel loro studio hanno ricostruito le fasi di quella singolare alleanza che, nel corso degli anni Ottanta, unisce papa Wojtyla al presidente americano Ronald Reagan. Gli Usa comprendono come il movimento iniziato in Polonia, grazie al carisma del Papa, può avere un “effetto domino” su tutto l’impero sovietico, portandolo alla dissoluzione. La Chiesa degli anni Ottanta, rispetto a quella post conciliare “terzomondista” dislocata lungo l’asse Nord-Sud, torna così a posizionarsi, come nel post ’45, nel contesto della divisione Est-Ovest. Quanto nasce ad Est viene d’altra parte a rivestire il ruolo di modello anche per il Sud del mondo: Ex Oriente lux. L’esperimento di Solidarność, sembra dimostrare la praticabilità della dottrina sociale della Chiesa. Trasferito in America Latina, esso implica il superamento della “teologia della liberazione”, il rifiuto del marxismo e, al contempo, l’avvio di un processo di transizione dei vari regimi militari verso la democrazia[3]. Il modello, fondato sul connubio tra etica cristiana e giusnaturalismo, risulta essere un messaggio trainante in nazioni a maggioranza cattolica in cui diritti e libertà sono oppressi e limitati. Non riesce invece a suscitare energie là dove, ed è il caso dell’Occidente, il processo di secolarizzazione è incalzante e la democrazia liberale non corre pericoli. Con il 1989, il crollo del muro di Berlino e la dissoluzione dell’impero sovietico, nel 1991, il prestigio del Papa nella scena mondiale tocca il suo punto più alto. Egli appare ora, nei mass media, come il «grande Demiurgo della civiltà universale» auspicato nel corso dell’Ottocento da Joseph de Maistre, come «il primo Papa universale»[4]. Paragonato ad un novello Mosè, per il suo ruolo di liberatore del suo popolo, Karol Wojtyla diviene anche interlocutore essenziale del leader russo Michail Gorbaciov, da lui incontrato in Vaticano il 1° dicembre 1989[5]. Per un attimo la Santa Sede torna ad essere un prezioso interlocutore nell’equilibrio tra Est e Ovest. Si tratta, tuttavia, di una illusione di breve durata. il “nuovo ordine internazionale” auspicato dal presidente americano George Bush, con l’avallo del primo ministro inglese Margaret Thatcher, prevede la resa e il vassallaggio all’unica potenza rimasta. Le espressioni entusiastiche con cui l’enciclica Centesimus annus, uscita nel maggio 1991, celebrava l’avvento dell’89, dovevano così cedere il campo a una riflessione più meditata per la quale la fine del bipolarismo rappresentava una diminuzione dell’influenza politico-diplomatica della Santa Sede. Da questo punto di vista «il 1991 fu un anno cruciale per la Chiesa. all’epoca in cui l’Unione Sovietica non era ancora crollata ma aveva già perso il suo status di superpotenza, Giovanni Paolo II dovette confrontarsi con la prospettiva che la Chiesa sarebbe potuta diventare meno importante dal punto di vista politico e sociale»[6]. Il 1991 è l’anno della guerra nel golfo Persico. La Santa Sede, che mai aveva criticato la politica americana durante la presidenza Reagan, opponendosi all’intervento Usa si trova confinata nel più completo isolamento. Si tratta di una tendenza destinata a diventare sempre più sensibile negli anni successivi. Da questo punto di vista assume un significato del tutto particolare il quarto viaggio in Polonia di Giovanni Paolo II nel giugno 1991, un viaggio che procura molta amarezza al Papa. La “sua” Polonia, ormai avviata alla democrazia e al mercato, dimostrava di subire tutto il fascino del materialismo occidentale. Essa palesava altresì una viva insofferenza per la tutela clericale che, come una rigida cappa, sovrastava la società. Veniva in tal modo a sgretolarsi il “modello polacco”. La Chiesa aveva rappresentato il popolo finché ne aveva difeso diritti e libertà di fronte alla tirannide. Scomparso il nemico, la sua tutela appariva ingombrante e fuori luogo. Gli anni Novanta vengono così a rappresentare, nella storia del pontificato di Karol Wojtyla, la fine del sogno giobertiano, il tramonto dell’ideale messianico dei poeti della sua giovinezza, Mickiewicz e Słowacki. L’ultima ferita a tale ideale sarà data dall’erompere del nazionalismo croato, inizialmente favorito dalla Santa Sede, con le sue conseguenze dirompenti nel conflitto che dissolve la Jugoslavia. Gli anni Novanta, con il tramonto del comunismo, segnano anche la crisi del paradigma della civiltà cristiana che doveva trovare espressione nella nuova Europa unita. Quel modello di civiltà, che ha come punto di riferimento la dottrina sociale della Chiesa, dimostrava la sua utilità nelle “situazioni di eccezione”, quale strumento di difesa in condizioni segnate dalla violenza e dalla sopraffazione. La sua declinazione in positivo, nel contesto dell’Occidente secolarizzato, appariva del tutto irrealistica. Il Papa veniva così sperimentando quel senso di impotenza, conseguente allo scarto fra teoria e prassi, che caratterizza la figura e l’opera di altri grandi pontefici. Lo si riscontra nell’ultimo Leone XIII, così come in Pio XII, la cui influenza fu notevole dal punto di vista politico, per la collocazione anticomunista della Chiesa nel mondo bipolare, ma non dal punto vista morale. «La Chiesa di Pio XII, proposta come forza morale, anzi come l’unica forza morale […] è, in realtà, una Chiesa isolata, in cerca di consenso attorno alle sue posizioni che non le è concesso»[7]. Allo stesso modo, secondo il filosofo ebreo Alain Finkielkraut, il pontificato di Wojtyla è stato caratterizzato da «un contrasto addirittura stupefacente fra l’estrema popolarità del Papa e l’estrema marginalità dei suoi discorsi. Non hanno nessun impatto. Basta vedere tutto l’impegno che Giovanni Paolo II pone negli aspetti della morale, che paiono diventati il nucleo della proposta cristiana, e l’indifferenza con cui vengono in realtà accolti. Giovanni Paolo II è popolare non per i suoi discorsi, ma “malgrado” i suoi discorsi»[8]. Questo, secondo Finkielkraut, poneva al cattolicesimo una questione fondamentale: «Vengono organizzate grandi manifestazioni, vengono mobilitate folle, si esibiscono presenze numericamente incredibili, ma nello stesso tempo la Chiesa ha sempre più difficoltà a trasmettere la sua eredità, ciò di cui è depositaria. il mondo cattolico rischia di rimanere accecato da quella popolarità planetaria concessa a Giovanni Paolo II scambiandola per un consenso alla Chiesa cattolica tout court. Non è così, è un inganno prospettico»[9]. L’inganno vela quanto in realtà è accaduto. Giovanni Paolo II, il grande erede di Leone XIII e Pio XII, chiude, grazie alla vittoria sul comunismo, un ciclo di storia della Chiesa. «Per un secolo e mezzo la Chiesa cattolica aveva lottato contro il socialismo e il marxismo. Per settant’anni aveva combattuto il sistema comunista come suo arcinemico. Tutta la cultura e la dottrina sociale del cattolicesimo del ventesimo secolo erano state modellate da quel terribile duello. ora, all’improvviso, la scena era vuota»[10]. La scomparsa del nemico produceva, per contraccolpo, anche l’eclisse della “teologia politica” (Böckenförde) del Papa. La nuova Europa, sia all’Est che all’Ovest, non ne aveva più bisogno. Per un singolare paradosso il richiamo all’Occidente “cristiano”, in opposizione al terrorismo islamista, sarà patrocinato dai teocons americani, durante la seconda guerra in Iraq nel 2003, proprio in antitesi a Giovanni Paolo II il quale, con coraggio e determinazione, procederà a una “neutralizzazione” della teologia politica tesa a giustificare la guerra “religiosa” contro l’Islam. Il Papa teologo-politico, colui che aveva sognato la rinascita dell’Europa cristiana, dormiente sotto le ceneri del materialismo sovietico, doveva così divenire il principale critico della teologia politica occidentalista. Non era l’unica conseguenza della caduta del muro di Berlino. L’altra era l’attenzione che ora assumeva il tema della fede. Data per presupposta, a partire dal modello della eterna Polonia cristiana, ora, nell’Occidente del dopo comunismo, segnato dal mito di una globalizzazione e secolarizzazione senza confini, appariva come il lumignolo fumigante in un mondo estraneo. Nel 1990 esce l’enciclica Redemptoris missio, nel 1992 il Catechismo della Chiesa cattolica volto a salvaguardare il patrimonio inalienabile della fede. Custodia e trasmissione della fede, da un lato, e testimonianza dall’altro: le due vie nel tempo della povertà che saranno proseguite nel magistero di Benedetto XVI. Nel suo pontificato Giovanni Paolo II beatifica oltre settecento tra uomini e donne e ne dichiara santi più di trecento. Alla testimonianza lo stesso Pontefice ha portato il suo personale contributo, di sangue innanzitutto, dopo l’attentato in piazza S. Pietro nel 1981, poi con la sofferenza fisica degli ultimi anni. Da ultimo con i suoi gesti: il Papa che prega, che abbraccia i piccoli, che consola gli afflitti, che accarezza con tenerezza l’umanità sofferente. Immagini che vanno ben al di là del grande “attore” del mondo, e che rimangono scolpite nella memoria.
[1] C. BERNSTEIN- M. POLITI, Sua Santità. Giovanni Paolo II e la storia segreta del nostro tempo, Rizzoli, Milano 1996, p. 451, nota. 12
[2] G. BAGET BOZZO, Wojtyla come Bonifacio VIII, “30 giorni”, 10 (1986), pp. 22-23.
[3] Cfr. A. METHOL FERRÈ, Il risorgimento cattolico latinoamericano, CSEO, Bologna 1983; A. METALLI, Cronache centroamericane, CSEO, Bologna 1983.
[4] Wojtyla, il primo Papa universale, intervista a Jacques Le goff, a cura di U. Munzi, “Corriere della Sera”, 16 maggio 1998, p. 31.
[5] D. DEL RIO – L. ACCATTOLI, Wojtyla nuovo Mosè, Mondadori, Milano 1998.
[6] C. BERNSTEIN- M. POLITI, Sua Santità. Giovanni Paolo II e la storia segreta del nostro tempo, cit., p. 505.
[7] A. ACERBI, La Chiesa nel tempo. Sguardi sui progetti di relazioni tra Chiesa e società civile negli ultimi cento anni, Vita e Pensiero, Milano 1984, p. 187.
[8] Il dato che abbiamo sotto gli occhi e l’ideologia del più vero, intervista ad Alain Finkielkraut, a cura di S.M. Paci, “30 giorni”, 4 (1998), p. 56.
[9] Ibid.
[10] C. BERNSTEIN- M. POLITI, Sua Santità. Giovanni Paolo II e la storia segreta del nostro tempo, cit., p. 505.