A vent’anni dall’attentato alle Torri gemelle, il magazine del Terzo Settore “Vita” mi ha intervistato per una rilettura storica incentrata soprattutto sul ruolo dei Papi, da Giovanni Paolo II a Francesco, in opposizione alla guerra. Ecco il testo, di cui è uscita anche una efficace sintesi sul sito Orbisphera dal titolo Quando Giovanni Paolo II si oppose alla guerra in Afghanistan e in Irak.
vita.it, venerdì 10 settembre 2021, Borghesi: «Vent’anni dopo occorre ripassare la lezione dei Papi» (Lorenzo Maria Alvaro, Riccardo Bonacina)
Il filosofo e professore a Perugia ricorda il ruolo dei Papi in opposizione alla guerra: «Giovanni Paolo II testimoniò, durante il suo lungo pontificato, l’opposizione più decisa ed appassionata contro le due guerre americane che hanno destabilizzato il Medio Oriente e sollevato la reazione islamica contro l’Occidente. Resistendo alle pressioni dei teocon e agli atei devoti. Oggi dobbiamo riscoprire la passione per l’ideale, fuori dal cinismo apatico e dal cinismo fanatico, deve tornare a permeare la realtà»
Nelle celebrazioni per l’anniversario dei vent’anni dell’attentato alle Twin Towers dell’11 settembre 2001 che distrusse il simbolo di New York e uccise 2.996 americani dando vita alla reazione Usa fatta di guerre, c’è un grande assente: la Chiesa. Nessuno ha sottolineato la lezione dei Papi, da Giovanni Paolo II a Francesco, passando per Benedetto XVI, che si sono costantemente battuti per scongiurare, in vano, il ricorso alle armi. Una posizione che, riletta oggi, sembra quasi profetica e che si spera sia imparata per il futuro.
Ne abbiamo parlato con il filosofo e professore a Perugia, Massimo Borghesi.
Vent’anni dopo l’11 settembre e un mese dopo il ritiro dall’Afghanistan mi pare che in pochissimi abbiano sottolineato il ruolo dei Papi (Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco) nell’opporsi alla guerra, nel gridare che “la guerra è sempre un’avventura senza ritorno”
Il cardinale Ratzinger manifestò chiaramente la sua opposizione alla seconda guerra del Golfo in una intervista a “30 Giorni” dell’aprile 2003. E’ Giovanni Paolo II però che ha testimoniato, durante il suo lungo pontificato, l’opposizione più decisa ed appassionata contro le due guerre americane che hanno destabilizzato il Medio Oriente e sollevato la reazione islamica contro l’Occidente: le due guerre contro Saddam Hussein, quella di Bush senior nel 1991 e quella di Bush junior del 2003. In ambedue i casi il Papa, lo storico “alleato” di Reagan prima della caduta del comunismo, dovette sopportare per la sua posizione reazioni forti e violente da parte di politici, giornalisti, intellettuali con l’elmetto fermamente schierati con gli Usa. Coloro che appoggiavano la linea papale venivano accusati di tradire l’Occidente. In Italia il ministro degli esteri De Michelis, Giorgio Bocca, Galli della Loggia, Giuliano Ferrara, Sergio Romano, Giordano Bruno Guerri, Gianfranco Pasquino, Eugenio Scalfari furono in prima fila nella critica del “disfattismo” cattolico. Con toni spesso veementi ed intimidatori. Un’euforia fuori luogo che, come scriveva Gianpaolo Pansa ne “L’Espresso”, era ostentata da “guerrieri da telecamera” preoccupati di spiegare “quanto è giusta la morte in guerra, soprattutto se a morire sono gli altri”.
Giovanni Paolo II che, per altro, non si piegò neanche alla pressione dei teocon americani e degli atei devoti da noi…
Non si piegò nel 1991 e nemmeno nel 2003 quando era vecchio e malato. Wojtyla aveva inviato il cardinale Roger Etchegaray a parlare con Saddam e il cardinale Pio Laghi a parlare con George Bush jr. tentando di evitare il conflitto. Il Cardinale Laghi disse a Bush che sarebbero successe tre cose se gli Stati Uniti fossero andati in guerra. Primo, il conflitto avrebbe causato molte vittime e feriti da entrambe le parti. Secondo, esso avrebbe condotto a una guerra civile. E terzo, gli Stati Uniti sarebbero sì stati in grado di entrare in guerra, ma avrebbero avuto molta difficoltà ad uscirne. Si trattava di una diagnosi profetica ma Bush fu irremovibile in una decisione che, disse, “era convinto che fosse la volontà di Dio”. Disse anche che, nonostante il disaccordo sull’Iraq, il suo governo era però in sintonia con la Chiesa in altre questioni. Bush profilava a Laghi l’alleanza teocon con la Chiesa in nome della difesa dei valori non negoziabili. Al ché il cardinale rispose: «Sì, i valori a favore della vita e della famiglia sono molto importanti, poiché sono basati sui principi della legge naturale, sui diritti umani e sul Vangelo. Ma Signor Presidente, io sono venuto qui per chiederle di non andare in guerra, che è un altro valore basato su questi stessi principi». La risposta di Laghi, in perfetta sintonia con Giovanni Paolo II, è interessante perché dimostrava di non cedere alle lusinghe del modello teocon: la lotta contro l’aborto in cambio dell’accettazione del modello americano. Negli USA gli intellettuali cattolici teocon, da Michael Novak a George Weigel e Richard Neuhaus furono allora in prima fila nell’appoggiare le decisioni di Bush contro il Papa. E quello che in Italia faranno Giuliano Ferrara, Galli della Loggia, Marcello Pera celebrando, anche loro, l’esportazione guerriera della democrazia e il Nuovo Ordine Internazionale. Un ordine pagato con migliaia di morti, una guerra infinita, l’esodo biblico della comunità cristiana perseguitata dalle terre di Ninive e Babilonia.
A proposito di questo colpiscono alcuni articoli interessanti anche in questi giorni come quello di Giuliano Ferrara su il Foglio di oggi, assai amari ma incapaci di dire “avevamo sbagliato”…
Ferrara, che è persona intelligente, non ha mai chiesto scusa delle sue prese di posizioni. Quando nel 2015 Tony Blair dichiarò, dopo la pubblicazione del rapporto Chilcot, di aver gravemente sbagliato nella sua decisione della guerra contro l’Iraq perché il rapporto dei servizi segreti sulle armi di distruzione di massa di Saddam, era errato, Ferrara è stato durissimo nello stigmatizzare l’autocritica dell’ex alleato di Bush. Come ha scritto ne “Il Foglio”: «La storia che la democrazia e la libertà non si esportano con le baionette, e che dunque la guerra a Saddam fu una coglionata sanguinaria, è un insulto indecente all’intelligenza occidentale. Caro Blair ti meriti Corbyn. L’unica cosa di cui Tony Blair dovrebbe scusarsi è per aver assecondato George W. Bush nella folle impresa di mollare gradualmente la strategia dell’esportazione della democrazia e della libertà nel corso del suo secondo mandato (2004-2008)». La confessione di Blair mandava letteralmente in crisi il paradigma teocon e Ferrara non è disposto ad alcuna concessione in materia. Può solo constatare come il progetto del New Order si sia tramutato in un caos senza precedenti in cui l’egemonia americana va pericolosamente declinando. E questo anche per i suoi numerosi e gravi errori di politica internazionale.
A rendere la posizione della chiesa un’amara profezia ci sono anche le immagini: 20 anni fa vedemmo con sgomento persone precipitare disperate dalle Torri in fiamme. Oggi abbiamo visto altre persone precipitare dagli aerei in decollo da Kabul. Che si tratti di terrorismo o di guerre “legittime” la violenza ha sempre lo stesso risultato…
La violenza è dentro la storia e non siamo così ingenui da pensare che il lupo possa pascolare con l’agnello. E tuttavia la profezia di Isaia non riguarda solo la fine. Nel mondo la violenza è frenata dai “giusti” di Dio, da coloro che impegnano la loro vita nella lotta per la pace, a qualunque fede appartengano. Dopo l’11 settembre era prevedibile la reazione americana. Nessuna potenza può lasciare impunito un crimine simile. Però il nemico era Bin Laden non l’Afghanistan. Al contrario la guerra è stata una dimostrazione di forza offerta non ai Taliban ma al mondo. Dopo l’89 l’America non poteva tollerare che il monopolio mondiale del suo potere fosse offuscato. Russia e Cina dovevano comprendere che nulla era cambiato. La palude afghana è il risultato di una sfida egemonica che ha portato, come risultato, ad un nuovo Vietnam e alla diminuzione del prestigio americano nel mondo.
La lancetta della storia sembra essere tornata a quel’11 settembre. Come se questi 20 anni fossero stati cancellati. Da dove ripartire?
Nulla torna come prima. Gli USA odierni non sono più l’unica potenza mondiale e il mondo è molto più insicuro rispetto al 2001. La preoccupazione del Papa, espressa nella frase “la terza guerra mondiale a pezzi”, è questa. L’ordine mondiale creato dopo il 1945 e ricomposto sotto l’egida americana dopo l’89 si va sfaldando. L’Europa, dopo aver rischiato di dissolversi grazie alle politiche economiche neoliberiste e al vento dei populismi, deve ripensarsi a partire dal suo nucleo storico. Deve continuare i suoi rapporti con gli Stati Uniti, che sono anche relazioni di civiltà, ma non deve tagliare fuori Russia e Cina. Deve altresì trovare ponti con il mondo islamico e tornare a sostenere lo sviluppo dell’Africa. Non c’è alternativa alla politica dell’equilibrio, al multilateralismo. Non solo per realpolitik. La pace richiede il multipolarismo, l’ideale della polarità che il Papa ha ereditato dal pensiero di Romano Guardini e posto al centro del pensiero sociale della Chiesa. Nei tempi di crisi la politica torna ad essere una forma eminente della carità. Occorre tornare alla grande politica, capace di progettare oltre la congiuntura del momento e di guardare fuori del proprio cortile. Una politica del bene comune. Qui c’è molto da fare, in termini di esperienza e di studio. Si tratta di riguadagnare, soprattutto per i giovani, una memoria perduta. La passione per l’ideale, fuori dal cinismo apatico e dal cinismo fanatico, deve tornare a permeare la realtà.