Sabato 29 marzo al Centro giovanile – Sala “La terrazza”, in via delle Sette Sale a Roma si è svolta la presentazione del volume di poesie di Annalucia Lorizio “Fra passato e presente”, prefazione di Fabio Pierangeli, postfazioni di Alessandro Banfi e Lucio Brunelli (Jacopo Lupi Editore – lupijacopo@gmail.com). Con l’autrice ha dialogato il giornalista Alessandro Banfi, le letture sono state a cura Carmen Rufo, le musiche di Massimo Aureli e Bruno Brunelli.
Annalucia Lorizio è nata il 30 maggio 1951 a Roma, dove tuttora risiede con la sua famiglia. Laureata in Lettere Moderne alla Sapienza di Roma, si è dedicata all’insegnamento, professione che l’appassiona profondamente, e si occupa di didattica collaborando, con articoli e saggi, alla rivista per docenti “Il Quadrangolo”.
Ha sempre coltivato interessi letterari approfondendo in particolare lo studio della poesia. Il suo orientamento va verso la corrente antinovecentista, da Saba a Betocchi. Fra i contemporanei predilige Luzi e Caproni. Tra i suoi lavori, oltre a “Fra passato e presente”, ricordiamo:
- “La vita quotidiana” (Aletti Editore 2002)“Tu che dal mistero chiami…” (Montedit 2003)
- il libro per bambini “La fata Smeraldina e i suoi magici aiutanti” (Aletti editore 2004)
- “Per le strade del mondo” (Aletti Editore 2011).
- Per l’Editrice La Scuola ha pubblicato nel 2008, con Rosario Mazzeo e Nora Terzoli, il volume “Binario 9 e ¾”.
- Sulla poetica di Annalucia Lorizio si veda la recensione di Andrea Monda “Poeta = cuoco?”.
Riportiamo la postfazione che Lucio Brunelli ha scritto per “Passato e presente” (pp. 129-131):
Lo stupore di un bambino ci colpisce sempre, rallegra l’anima, è una festa. Ma vedere in un adulto la stessa meraviglia di fronte all’esistente sorprende ancora di più, non te l’aspetti, ha del miracoloso. Soprattutto se si tratta di una persona che ha vissuto intensamente la vita e non è avvezza ad abbassare lo sguardo di fronte al male e al dolore. Eppure, sa scorgere con emozione i segni di quell’ “amabile mistero” che traspare “dagli esseri e le cose”.
Appena terminata la lettura del libro di Annalucia Lorizio, “Tra presente e futuro”, è questo pensiero sullo stupore dei “grandi” che più mi accompagna. “Che meraviglia le ginestre!”, esclamano i primi versi della prima poesia: “… oro, colato giù per le pendici”. Non è solo una vibrazione dell’anima, di fronte alla bellezza del creato: è “paragone” e “somiglianza” fra quello splendore abbarbicato ai monti e una “vita modesta che, in pur breve stagione, largisca al mondo una smodata ricchezza”. Ed è una vita in apparenza modesta, semplice, simile a quella di tanti romani figli di laboriosi immigrati nel secondo dopo guerra quella evocata nella parte iniziale della raccolta, titolata “Radici di esistenza”. Versi che raccontano l’infanzia dei giochi nel cortile, con gli altri bambini, senza necessità di una tutela continua delle mamme, le “guerre innocenti” con i ragazzini dei caseggiati vicini, la polvere e il verde della periferia estrema della città: “Vivevamo in torme di bambini tra caseggiati che sfioravano il prato. Combattevamo guerriglie per difendere il giardino di fiori e ghiaietta bianca dagli assalti ricorrenti di ragazzini innocui”. Lo sguardo di Annalucia non è né nostalgico né melanconico, è uno sguardo di simpatia e tenerezza. Immagini in cui tanti di noi, romani di seconda generazione, possono specchiarsi. Le ginocchia sbucciate “a cui le madri non davano peso” e le vacanze estive nel paese d’origine dei genitori, “turba di cugini”, non c’erano i cellulari e i tablet a spegnere lo sguardo, ore e ore a correre e giocare all’aperto, a tuffarsi con gaudio nei “covoni giallastri”, a rubare nei campi qualche pannocchia di granturco da abbrustolire (“gloriose rapine”), un contatto diretto con la natura: “sdraiati sul terrazzo guardavamo il cielo sospeso e una vertigine saliva dagli occhi fino al cuore: – dove finiva quell’infinito? Schiacciati di piccolezza, stavamo immobili”.
Il linguaggio poetico è volutamente accessibile, quotidiano, non ermetico, Annalucia ama Umberto Saba e predilige la corrente “antinovecentista” della letteratura italiana con Betocchi, Cardarelli, Penna e Pavese. In una delle poesie interroga sé stessa sul rischio di una distanza fra i versi e la vita reale, la risposta rivela il realismo pacificato dell’autrice: “Non chiedere se la vita che ho scritta è la stessa vissuta con attaccamento, giorno dopo giorno, trattenendo il respiro. Probabilmente (da qualche parte) la frattura appare e s’allarga a dismisura, ma io m’accontento e cerco di trovare, nel vero quotidiano, il poetico imperfetto.”
Annalucia non riesce a comunicare che cose speranzose. Non le viene proprio di condividere oscurità o quei momenti in cui il dolore non appare avere redenzione. Preferisce, in quei momenti, chiudere il quaderno e riaprirlo solo quando la speranza in un destino buono torna a palesarsi e a convincere il cuore. Le varie sezioni del libro sono i capitoli della sua vita. Nei componimenti prendono forma tutti i suoi grandi amori: genitori, marito, figli, nipotine… E poi i luoghi cari, le stagioni, gli affetti. Prevale su tutto, spontaneo, un sentimento di gratitudine. Una riconoscenza per quanto ricevuto dalla vita, per gli incontri che danno senso all’esistenza.
C’è anche la fede cattolica, nelle sue poesie, anche se Annalucia ne accenna raramente e sempre con estremo pudore. Il pudore di chi ha sperimentato come la vita cristiana sia dono e non possesso, mendicanza e non sbandieramento. Ma alla fine capisci che quello stupirsi, quell’abbandono confidente, hanno solo lì, nella fede, la loro sorgente. L’ultima poesia è il riassunto di tutto il libro, sommario di un’esistenza bella e delicata, “nonostante” i dolori e le fatiche. Anzi, attraverso le avversità. Un grande regalo questo libro di Poesie per le persone più care ma anche per i suoi numerosi amici e per quanti amano la poesia:
“Nel frastuono dell’esistenza ho rinvenuto indizi e tracce, insospettabili percorsi a incalzare quell’amabile mistero che traspare dagli esseri e le cose. Ora che resta l’ultimo salto e trema ogni fibra sul filo dell’ignoto, possa stringere tra le mani la speranza, piccola luce nei giorni seminata, e chieder di tornare, per sempre ritornare, alla dimora dal cuor desiderata”>>.
Qui il video della presentazione