Pubblico un breve estratto del mio volume “Critica della teologia politica. Da Agostino a Peterson: la fine dell’era costantiniana” (Marietti 2013), dedicato a don Luigi Sturzo. L’occasione è il centenario dell’“Appello ai liberi e forti” del 18 gennaio 1919 che segna la nascita del Partito Popolare Italiano.
È nel discorso pronunciato a Caltagirone il 24 dicembre 1905, noto con il titolo I problemi della vita nazionale dei cattolici italiani che Sturzo, dopo il fallimento della “Democrazia cristiana” di Romolo Murri e lo scioglimento dell’Opera dei Congressi (1904), concepisce la sua idea di partito e di impegno politico[1]. Questa presuppone la crisi e il rifiuto del modello palingenetico che Murri, ripensando il progetto storico di Leone XIII, dava dell’incontro tra Chiesa, popolo, democrazia. Quel programma implicava la compromissione della Chiesa nella società; faceva dei cattolici l’avanguardia dell’emancipazione e della giustizia in un processo di civilizzazione da loro guidato. La Chiesa diveniva così, sia pure indirettamente, l’instrumentum regni del progetto politico “democratico”. Ciò portava, come bene ha visto Franco Rodano, ad un rovesciamento dell’integralismo in modernismo. L’idea che la Chiesa potesse riconquistare l’egemonia perduta tra le masse, finalizzando la sua presenza storica alla costruzione della “città dell’uomo” portava con sé il cambiamento della sua stessa natura e missione. L’egemonia ecclesiale sul sociale animata dall’idea di trasformazione, richiedeva, in parallelo, una “riforma” della Chiesa. Si trattava, secondo Rodano, di “ammodernarla” in un triplice senso: mondano, razionalista, naturalizzante.
Era “mondano”, perché l’integralismo, nell’invitare la chiesa a farsi puntello dei propri sforzi politici, si trovava costretto a tentar di indurla a immergersi nella cose del “tempo”. Era razionalistico, poi, dal momento che si avevano da fare i conti con una società di segno borghese, nutrita di cultura illuministica e positivistica. Era infine naturalizzante, in quanto sia la spinta a “mondanizzare” la Chiesa, sia la tendenza ad aprirla al razionalismo, trovavano la loro comune radice sempre entro il quadro, integralista, in quella fontale tematica mennaisiana (F. de Lammennais) che rischiava di condurre il kerigma cristiano a perdere la propria specificità religiosa di annuncio del “regno” o dell’umana partecipazione alla vita divina, e pertanto al suo depotenziarsi (non privo,appunto,di implicazioni razionalistiche) a semplice guida dell’uomo nella sua operazione “terrena” o secondo “natura”‘[2].
Per Rodano
diveniva quindi inevitabile che l’indirizzo integralista venisse a prolungarsi in quel peculiare movimento, il modernismo, che a troppi è apparso e appare tuttora come estraneo e anzi antitetico all’integralismo medesimo. Ben al contrario, un simile processo ha avuto ampiamente luogo; e addirittura in maniera quasi immediata (tanto da assumere gli aspetti di un subitaneo rovesciamento) per i vertici dell’integralismo: basti pensare al già ricordato Romolo Murri o anche allo stesso Lamennais[3].
L’iter di Murri, dalla “Democrazia cristiana” di fine ‘800 alla mistica attualistica del fascismo e dello Stato, conferma qui la diagnosi di Rodano[4]. Ora merito di Sturzo, il cui sodalizio con Murri era stato molto intenso, fu proprio quello di prendere atto che l’incontro tra cristianesimo e democrazia era, nella sua versione murriana, destinato a fallire[5]. E ciò per due motivi, l’uno pratico e l’altro ideale. I tempi cioè per un partito cattolico, perdurante la “questione romana” non erano ancora maturi. D’altra parte non si poteva chiedere alla Chiesa l’identificazione con una determinata forma politico-sociale[6]. Dal ripensamento della “mistica” democratica di Murri nasce lo Sturzo messianico del riformismo secondo l’acuta definizione di Piero Gobetti. Il distacco dal profetismo murriano non porta cioè Sturzo ad un pragmatismo senz’anima, allo “pseudorealismo” di Filippo Meda che Gobetti, ne La rivoluzione liberale, critica nel suo contrasto con l’operare sturziano.
Il cattolicesimo del Meda è appunto un cattolicesimo moderno, quasi modernistico, ma senza l’inquietudine e l’ansia religiosa. La Chiesa non combatte con lo Stato, né la fede con la ragione; in sede politica, nella transazione di tutti i giorni, le idee rigide e nette si temperano per intrinseca necessità; il processo di creazione ideale è attenuato in un processo meccanico di coordinamento. Meda non accarezza illusioni, non si appassiona a posizioni determinate di intolleranza. Il suo cattolicesimo non è una fede, ma la fiducia in un ordine di fatto che liberi dagli inconvenienti dell’imprevisto[7].
Diversamente dal vecchio clericalismo liberale e riformista di Meda, Sturzo, secondo Gobetti, è il “messianico del riformismo”. Ciò significa che
la sua attività è in diretto rapporto con gli elementi palingenetici dell’avvenire dei popoli. Egli può dunque tentare l’opera di proselitismo fallita ai democratici perché agita la bandiera del riformismo messianicamente e fa partecipare il popolo al processo della laicità valendosi delle illusioni di cui è ricco per sua natura un programma religioso. Né l’eresia della praxis può incutergli timore perché, accettando il vecchio liberalismo monco e riformista, egli rende più difficile la concorrenza dello Stato panteista e del marxismo[8].
Se nondimeno Sturzo non accede all’utopia cristiano-democratica di Murri è perché, secondo Gobetti, egli ha ben chiara la distinzione tra riforma religiosa e rivoluzione sociale. Come nella realtà politica egli è il messianico del riformismo così,
nella storia della Chiesa, Sturzo rappresentò per un analogo atteggiamento e secondo un’identica misura la parte del riformista del messianismo, proprio perché politica e religione creano naturalmente posizioni reciproche. La guerra europea ha dimostrato che la chiesa non può lottare contro tutta l’Europa, non può teorizzare la sua antitesi con l’eresia, ma deva anzi dialettizzarla con cautela in una pratica di diplomatici. Sturzo, alieno dalle posizione rivoluzionarie cercò anche in questa lotta la palingenesi pacifica e ai fermenti rumorosi oppose l’agilità di una transazione. Il Risorgimento è un risultato che bisogna accettare: non vi si può contrapporre una riforma religiosa come rivoluzione che scoppia dall’esterno ad ampliare il dogma della Chiesa rinnovandone la funzione di centro della vita europea[9].
L’accettazione dei fatti compiuti non implica, però, come in Meda, la “rinuncia alla coerenza per limitarsi all’opportunismo”[10]. Lo spirito di riforma di Sturzo implica un gioco spregiudicato mirato
a far riuscire il suo cattolicesimo alla politica, andando al popolo attraverso il Vangelo. È in lui la fede del cristiano ottimista e cauto, che opera secondo i suoi limiti di uomo, senza crisi, e sa che la divinità non può non essergli presente perché è universale. Sente i problemi più vivi dello spirito senza averne il terrore degli asceti; la sua religiosità non è un tormento, ma uno stato di serenità, quasi uno stato di grazia, per usare termini sacri in un discorso che vuol essere profano[11]
Per questo, differentemente da Meda il cui
pseudo-realismo «tende ad eliminare dalla storia l’imprevisto»[12], la «fede di Sturzo
rispetta l’imprevisto e non rifiuta di lasciarsi giudicare in ultima analisi
dalla storia»[13].
[1]
Sulla formazione politico-religiosa di Sturzo si cfr. M. PENNISI, Fede e impegno politico in Luigi Sturzo, Città Nuova, Roma 1982. Per una esposizione complessiva rimandiamo a G. DE ROSA, Luigi Sturzo, Utet, Torino 1977.
[2]
F. RODANO, Questione democristiana e compromesso storico, Editori Riuniti, Roma 1977, p. 62.
[3]
Ibidem.
[4]
Su tale itinerario si cfr. C. GIOVANNINI, Romolo Murri dal radicalismo al fascismo. I cattolici tra religione e politica (1900-1925), Cappelli, Bologna 1981
[5]
Sul rapporto Murri – Sturzo cfr. L. BEDESCHI, La corrispondenza inedita fra Sturzo e Murri (1898-1906), in: AA.VV., Modernismo, fascismo, comunismo. Aspetti e figure della cultura e della politica dei cattolici nel ‘900, a cura di G. Rossini, Il Mulino, Bologna 1972, pp. 15-78.
[6]
Sulle ragioni della distinzione tra Chiesa e politica si cfr. L. STURZO, Il “popolarismo”, in: Id., Scritti storico-politici (1926-1949), Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1984, pp. 30-38.
[7]
P. GOBETTI, La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia, Einaudi, Torino 1969, p. 66.
[8]
Op. cit., pp. 76-77.
[9]
Op. cit., p. 77.
[10]
Op. cit., p. 72.
[11]
Op. cit., p. 77.
[12]
Op. cit., pp. 66-67.
[13]
Op. cit., p. 78.